Nel
mio frigorifero non ci sono cibi in scadenza, non li compro deliberatamente.
Scelgo solo porzioni monodose a lunga conservazione e compro un sacco di
surgelati. Convinto che non cenerò a casa. Poi non succede niente e sono
costretto dalle circostanze ad un piatto di pasta fresca surgelata. Leggo
diligentemente le istruzioni per la preparazione osservandole come fosse la
posologia del Cumadin. La cucina si riempie dell’odore della cucina tradizionale
e scelgo attentamente la bottiglia di vino da abbinare al piatto. Passo in
rassegna le bottiglie affiancate nella rastrelliera Ikea da 9,90. Le sollevo
una ad una considerando il vitigno e la gradazione. A volte controllo anche il giusto
abbinamento su internet. Spesso mi distraggo al punto da trovarmi a dividere la
cena con il fondo bruciato della padella dal teflon ormai consumato. Questa
condivisione mi fa stare bene, quasi fossi a cena con Stefania, che proprio
come la padella mi rubava la cena dal piatto. Ed io non mi divertivo. Mi
sentivo sempre sotto l’occhio vigile dell’inflessibile Gordon Ramsey. Dicevo:
“ma ti pare?” usando il suo tono. E lei non rispondeva, era chiaro che non
capiva di che parlavo. Ho scoperto troppo tardi che non aveva una televisione.
Se l’avessi saputo prima stasera certamente saremmo insieme a cena seduti con
fare compìto in un ristorante da 25 coperti a criticare lo standing del
cameriere e la creatività della cucina. Ci sarebbe probabilmente un odore di
mughetto all’ingresso.
Ogni
tanto spero che quel butterato sovrappeso di Gordon Ramsey esploda. A volte
succede a chi ha l’abitudine di infilarsi peperoncini habanero su per il culo.
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