giovedì 14 giugno 2007

la rivoluzione di Francesca

Era arrivata l’estate. L’umidità rendeva tutto più pesante, come un dipinto ad olio. Un cambiamento repentino e quasi inatteso. La vita invece scorreva sempre uguale a se stessa. Vestiti decisamente più leggeri per le abituali situazioni. Un caffé, una mattinata in ufficio, quattro chiacchiere e, perché no, una telefonata a Francesca. Un modo come un altro per staccare. Francesca aveva ancora quell’illusione contagiosa di poter cambiare le cose. Il rotolare del mondo piuttostochè l’effetto serra, l’iconoclastia in cui la società pareva essersi cristallizzata.
Quel pomeriggio tardi la strada era inspiegabilmente più trafficata del solito. Zigzagare col motorino era quasi impossibile. Più idiota del volo dei moscerini. Poi veniva verde e Marco si trovava schiacciato tra un suv ed un economico modello di casa Fiat. Una seicento gialla. Stefania si attaccò al clacson intimamente felice per lo sfogo regalatole. Pareva la fine del mondo.
“Stronzo” urlò senza staccare le mani dal clacson.
Il suono continuò che Marco si era già allontanato di un pezzo. L’uomo nel suv osservava la posizione tesa di Stefania. I muscoli tesi e le vene in rilievo. Non l’avrebbe detto ma quella posizione in fondo gli ricordava quelle ossute streghe isteriche che volavano sulle scope nei racconti di terrore che leggeva bambino. Altri tempi. Il clacson cessò e per un attimo si percepì un vuoto postatomico. Quasi il suono fosse diventato parte integrante e portante del quadro.
“Ma guarda te questa testa di cazzo” pensava Marco proseguendo la sua marcia storta, singhiozzante, nervosa. Il vuoto si riempiva veloce di smog e motori accesi. Ancora dieci minuti, forse un quarto d’ora e sarebbe stato a casa. Passarono esattamente undici minuti e spense il motorino. Era arrivato. Il casco aveva inumidito la fronte e schiacciato i capelli neri. Si fissò per un breve istante nello specchietto retrovisore sistemandosi in fretta. Poi si avviò all’appartamento una scala dopo l’altra sino ad arrivare al terzo piano. La prima cosa che vide aprendo la porta fu un secchio di vernice rosa proprio ad un passo dall’ingresso. Roba che se non ci stava attento avrebbe combinato un macello.
“Non può essere” disse coperto da un tenore. Lo stereo sputava la traviata. Francesca si muoveva leggera ed ispirata. Lui invece era pietrificato. Il sorriso e le chiavi erano ancora al loro posto. Entrambi immobili, congelati nell’umido estivo. Tutto in lui si era fermato a pochi attimi prima. Quando la porta era chiusa. Occhio non vede cuore non duole. Francesca però lo vide, sorrise e gli si appese al collo. Lo baciò dietro all’orecchio. Come faceva sempre. Ma non lo smosse. Sfoggiò il miglior sorriso del repertorio “Vera Vita”. Niente. Nessuna reazione. Come un sasso buttato sulla sabbia. Ondeggiò. I suoi occhi fissi che andavano asciugandosi non vedevano Francesca ma quelle pareti striate di rosa. Le cornici coperte di scotch da pacchi che andavano macchiandosi. Il pavimento foderato di giornali vecchi sanguinanti vernice.
Le aveva dato le chiavi di casa la settimana prima. Non vivevano ufficialmente assieme ma lei era praticamente sempre da lui. Cucinava, portava la spesa ed ora sporcava le pareti. Gli era piaciuto da sempre quasi tutto di lei: quel suo sorriso contagioso, quegli occhi chiari e sognatori. Gli stessi che lui aveva avuto un giorno qualche anno prima. Gli stessi che probabilmente avrebbero capito l’opera d’arte anticonvenzionale che andava prendendo vita nel suo ingresso.
Finalmente si mosse. Superò il bidone di vernice attento a non sporcarsi le scarpe con le gocce rosa sparse qua e là sui giornali. Raggiunse camera sua.
Francesca lo seguì, colpevole.
Il giorno dopo Francesca fece reimbiancare l’ingresso, passò ore ripulendo le cornici sporche. Lavorò sodo. Non si curò nemmeno di differenziare i rifiuti. Infilò tutti i giornali sporchi nel sacco nero assieme alla plastica e ad una latta di birra. E non pensò più molto alla rivoluzione.

3 commenti:

Anonimo ha detto...

Non poteva essere altrimenti. Era un'occasione da prendere al volo anche se sappiamo tutti quel che si dice sulle macchine gialle...

Anonimo ha detto...

autoreferenzialità o mancanza di significati, anzi di idee significative?

nome ha detto...

contingenza