venerdì 16 gennaio 2009

Appunti (parte 2)

La canzone che ascolto si chiama Exiles Among You. C’è un verso che mi colpisce ogni volta. Riaffiora qualche ricordo. Od immagino qualche momento che mi piacerebbe aver vissuto. Fuori il solito traffico nervoso di chi ritorna carico di acquisti e fretta di prepararsi per la serata. Corriamo sempre. Durante la settimana secondo le scadenze fisse del lavoro, nei fine settimana secondo quelle degli appuntamenti. Impegni più o meno importanti. Forieri di più o meno risvolti interessanti. Patenti ritirate piuttostochè amplessi guadagnati.
Uscire al week end è sempre più simile ad un gratta e vinci.
Anche questa sera ceno con Sara. Ma andiamo con ordine.
Il semaforo diventa rosso quasi senza passare dal giallo e mi ritrovo bloccato tra le strisce pedonali e gli sguardi laser dei passanti. Più di uno si immagina attraversare passeggiando proprio sopra il mio cofano. Con un appagante click clack metallico.
Qualcuno gesticola ed io mi fingo occupato con la radio. Per non sostenere lo sguardo. Incerto, indeciso, titubante. Tredicenne.
Poi si accende il verde e torno della ragione. Allora accelero. Veloce. Futurista seguo i disegni lasciati dalle luci dello stop. Il buio ha soppiantato un tramonto sangue rappreso. Invernale. Le facce attorno passano indistinguibili nella coda dell’occhio. Immagino di vedere facce che mi piacerebbe rivedere. Facce che mi notano. Facce che cercano di attirare la mia attenzione. Come nei film. Inutile. Proprio come le unghie dei piedi.
Comunque.
Stasera andremo a un ristorante che mi ha consigliato Marcello al lavoro. Marcello è un discepolo dei blog culinari. Conosce le recensioni tutti i ristoranti da qui a Parma. A casa sua non c’è un libro e possiede un set di coltelli Ikea di quelli che vendono assieme al ceppo in legno a 2 euro e 99. Alle pareti qualche foto di lui da bambino dietro a cornici trasparenti picoglass. Anonime. Marcello Sighinolfi a cinque anni assieme alle costruzioni con una improbabile camicia leggera grigia. Marcello e i genitori. Marcello ed i compagni dell’asilo o delle scuole elementari. C’era stato un momento di imbarazzo davanti a quei pochi ritratti appesi alle pareti. Avevo immaginato due scatole piccole imbastite per il trasloco. Saluti di circostanza. Poco meno di 30 anni e la casa di una vita che si allontana alle spalle. Autonomia. Odore di cartone ondulato. Scotch da pacchi di quello marrone.
Poi avevo sorriso.
“Tu?” aveva detto con dissoluto entusiasmo la mia barba generica. Né troppo corta né troppo lunga.
“Io” avevano risposto le sue mani in tasca.
Ricordo i pantaloni neri. Severi. La piega al centro quasi inamidata. Pochi minuti dopo eravamo fuori. Diretti ad un ristorante poco lontano. Mi consigliò il Tataki di tonno accompagnato da un impronunciabile vino bianco. Mi domandai dove lo aveva letto mentre scorrevo le pagine del menù disinteressato. Poi ordinai.
Stasera il piatto consigliato è il filetto.

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