giovedì 29 gennaio 2009

Polaroid

Il silenzio riempe la stanza attaccandosi alle pareti ricoperte da quella carta da parati troppo psichedelica per questi tempi. Da anni andrebbe sostituita. Le posate stridono al contatto della ceramica dei piatti e tintinnano quando incontrano qualche dente. La luce stanca emessa dalle tre lampadine da quaranta watt scivola stancamente sui volti delle tre figure sedute intorno al tavolo. Sembrano concentrati a non perdere nulla di quel fantastico silenzio. Silenzio che cola, straripa ed evapora.
Poi il viso di suo padre. Quando Carlo lo incontra con lo sguardo tra un boccone e l'altro, più il tempo passa e più gli sembra di vedere suo nonno. Il padre di suo padre in suo padre. Pensa se e quando lui arriverà ad assomigliare a suo padre e poi per forza di cose a suo nonno. Pensa al suo bisnonno. Ma non lo ha mai conosciuto suo bisnonno. Infatti è morto troppo tempo fa, non sa nemmeno con precisione quando. Forse negli anni sessanta o prima. Quegli anni che solo a pronunciarli sembrano anni luce lontani da quella stanza, da quella città. Anni che persino nella fantasia risultano in bianco e nero e dalle immagini sfocate, tremanti. Però Carlo sa che il suo bisnonno è morto senza nemmeno sapere che sua moglie aspettava un figlio, suo nonno. Gli sembra strano pensare a suo nonno come ad un figlio. Suo nonno fino a qualche anno fa gli poteva sembrare al massimo padre di qualcuno ma per nulla al mondo figlio di qualcuno. Carlo deglutisce quella poltiglia di carne che non riesce a macerare ulteriormente nonostante non la senta ancora pronta per essere ingurgitata. Se non fosse così concentrato sulla genealogia e sulle somiglianze tra i suoi avi, probabilmente preferirebbe sputare educatamente quel blocco non più scomponibile nel tovagliolo ed andarlo a gettare nel bidone della spazzatura biologica quasi a volersi liberare da certi pensieri.
La televisione osserva dall'angolo della stanza silenziosa e cupa riflettendo in tonalità grigie la scena che un vecchio tubo catodico sta proponendo. Ancora suo nonno. Ricorda che stava sempre a capotavola e sedeva in un modo strano, unico. Sedeva sul principio della sedia imbottita e dalla seduta in velluto verde. Sembrava sempre in un equilibrio precario, in una posizione scomodissima, più da meditazione yoga che da cena. O pranzo. O lettura. Sembrava sempre pronto a scivolare giù da un momento all'altro e frantumarsi un femore od una spalla. O entrambi. Sedeva in quel modo per via della pancia prominente, probabilmente.
Per via Settala passa il 51 ogni 15 minuti dalle 7.15 alle 18.15. Fuori da questi orari cambiano le coincidenze. Carlo prende il 51 tutti i giorni per andare a scuola e da sempre trova buffo questo rincorrersi infinito di tutti questi 1 e 5.
Il purè di patate non sa di niente ma Carlo continua a mangiarlo ugualmente. Se ne rende conto appena ne imbocca una forchettata. Non solo. Si accorge che probabilmente non gli è mai capitato di gustare un piatto cucinato da sua madre. Le sue pietanze sono tutte bidimensionali: hanno un colore ed una forma. Ma niente sapore. Il gusto in casa sua sembrano averlo perso tutti e forse anche lui stesso, quando arriverà ad assomigliare a suo padre, lo perderà.
Sua madre, quella donna fantastica, dedita alla casa ed a Dio, tutti i giorni spolvera i mobili lucidi e lava i pavimenti puliti. Più avanti negli anni, quando Carlo si iscriverà a psicologia, scoprirà qualcosa celato dietro la maniacalità quasi compulsiva di sua madre per il pulito e l'ordine. Ma per il momento Carlo crede che sua madre lo faccia semplicemente per ingannare il tempo. Per Carlo sua madre è sempre stata una signora di mezz'età. Si immagina sua madre con lo stesso volto dal momento in cui tredici anni fa lo aveva fatto nascere ad ora. Qualche capello bianco in più forse, ma le stesse pieghe accanto agli occhi ed ai lati della bocca ed il solito sguardo melanconico e liquido. Opaco. I buchi ai lobi delle orecchie, che sempre gli hanno fatto una certa impressione, allungati all'inverosimile che sembrano sempre pronti a lacerarsi ulteriormente e definitivamente. Dopo questo pensiero non riesce a trattenersi e le guarda gli orecchini. Già. Pensa anche che forse sua madre lo ha partorito indossando quegli stessi orecchini d'oro con due brillanti ai lati. Talmente semplici come disegno da sembrare usciti dal pennello di un ritrattista inesperto o frettoloso. Nemmeno al mare se li sarebbe tolti. Ma questo Carlo non lo saprà mai dato che al mare non ci è mai stato.
I piatti finiscono nel lavello con una semplicità sconvolgente e la tovaglia sembra più grande. Finito il pranzo Carlo si sente sempre più leggero.
Volete un pò di frutta? dice una voce debole e delicata accarezzando il silenzio.

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