giovedì 22 luglio 2010

Matrimonio

A questo punto tutti battono sul tavolo ripetendo “discorso, discorso, discorso, discorso” e le posate sobbalzano con piatti, bicchieri e companatico.
È un momento che richiede un tasso di sobrietà ragionevolmente basso. Fortunatamente è il mio caso.
Mi schiarisco la voce mentre goffamente mi alzo.
Pantaloni neri con la piega al centro, camicia bianca, cravatta e giacca su misura. Mi valorizza, è questo che mi hanno detto in negozio. E con un sorriso dieci minuti dopo lubrificavano la stretta fessura del loro pos con la mia carta di credito. Ora comunque mi sento a disagio. La sensazione è quella di indossare un vestito non mio. Recitare un ruolo a cui non sono preparato.
Prendo un sorso dal bicchiere e le bolle appuntite si insinuano tra le otturazioni dei molari. Stimolando un sorriso forzato. Coraggio.
Tutti intanto sono immobili a guardarmi. Facce tirate ed occhi aperti che si distingue il colore dell’iride anche delle terze file. Da qui sembra una ripresa a 360 gradi. Quello dove il protagonista fa qualcosa di eccezionale, determinante ed impossibile.
Lei è bellissima, anche più del solito. Sarà per il vestito bianco e quel sorriso incerto che non mi pare averle mai notato.
Inizio inciampando in un “bè, grazie a tutti”.
Mi stupisco di non aver mandato qualcosa a memoria per l’occasione ma succede in un attimo. Subito dopo lapideo mi fisso sui piedi nemmeno ci avessi due chiodi conficcati e continuo a parlare. Il tono passa dall’incerto al comprensibile. Non mi pare l’alcool allunghi troppo la pronuncia o arrotoli le parole. Anche le frasi mi sembrano chiare, per una volta. Consequenziali. Il fine d’altra parte è chiaro. Questa è solo una difficile formalità.
Ringrazio tutti per essere vestiti in maniera ridicola come me e aggiungo una battuta su dei pinguini che si incontrano in un bar. Lo faccio così, per sciogliere il ghiaccio. In qualche tavolo avverto una risata. Timidi segnali.
Proseguo.
In queste situazioni è sempre meglio non guardare nessuno. Mai fissare lo sguardo perché ci si deconcentra. Così non mi accorgo più di tanto degli sguardi che seguono alle mie parole. Alle cose che avrei dovuto tralasciare e a quelle che sarebbe stato bene sottolineare.
Dico che Maria me l’ha presentata Marco. Era una sera qualunque e ci eravamo incontrati per caso nello stesso bar. In quel periodo frequentavo Elisa già da un po’ e la nostra relazione era l’eco dell’incredibile attrazione che c’era stata. Roba da sesso sotto la doccia.
Dico che non mi ero mai lavato tanto e tutti ridono.
“ma sto divagando” mi scuso.
Maria comunque mi aveva subito colpito. Era troppo. Non riesco a descriverla in altro modo. Ed anche quella sera non devo essere stato molto loquace. Almeno non prima del terzo giro di birra.
Altre risate.
Applausi.
Sarebbe il momento giusto per concludere ma non riesco a resistere a questa orgia di attenzione.
Quindi vado avanti finchè qualcuno non mi batte sulla spalla e dice che può bastare.
“grazie” dice applaudendo teatralmente di lato. Mi guarda come un cordiale neonazista guarderebbe un extracomunitario mentre gli fotte la morosa, il lavoro e la macchina contemporaneamente. Certamente è lo sposo, fortunatamente disarmato e in una sala piena di testimoni. Constato che Maria non ha scelto male: il suo vestito lo valorizza più di quanto faccia il mio con me. Quindi dico “ora è meglio che vada”. E mi sembra un’ottima decisione.

Il mattino dopo ho dei ricordi vaghi. Spero solo di non aver raccontato di quella volta che con Maria ci ho fatto anche qualche porcheria.
Poi accendo il cellulare.
E capisco che l’ho fatto.
È stata proprio una gran bella festa.

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