martedì 21 febbraio 2012

Igiene dentale


Tutto quello che ricordo del mio dentista è un persistente odore di sigaro. Quello e  due occhialini tondi che l’avrei riconosciuto subito se fosse stato un personaggio di “Indovina Chi?”. Mi trovava sempre qualcosa attaccato ai denti e mi faceva sentire in colpa perché non avevo passato il filo interdentale. E mia madre cercava di scusare il mio comportamento. Lo faceva guardandosi gli anelli d’oro. Io sapevo che non sarebbe finita così. Uscivamo e mi rimproverava sempre di farle fare la figura di quella che se ne frega, di quella che tira su un figlio maleducato. Ed io mi guardavo le scarpe slacciate per tutto il tragitto fino alla macchina. E stavo zitto.
Quando andavo dal dentista mi toccava sempre di aspettare. C’era una ragazza sui venticinque anni veramente bella che mi faceva strada nella sala di attesa. Aveva i capelli mossi che mi ricordava una foto vista di nascosto nelle ultime pagine di Panorama. Quelle che servivano a dare sollievo dalla valanga di parole che riempivano quel giornale assieme ad una vignetta di Forattini che proprio non capivo.
Ed ora mi gratto i denti con la lingua cercando di staccare un avanzo della cena incastrato tra i denti e ripenso a quei pomeriggi. L’immagine di me bambino affogato su una sedia in pelle di design che sfoglio innumerevoli uscite di Focus. Le pagine che giravo facevano quel rumore di usato raggrinzito che pensavo mi si sarebbero sbriciolate tra le mani. Ogni tanto mi fermavo e alzavo la testa. Guardavo la ragazza alla reception con degli occhi più grandi e colorati di quelli che ho adesso. Mi ricordo che sembrava sempre allegra anche quando era seduta e faceva i conti o giocava col filo del telefono. Aveva una fossetta felice sulla guancia destra. Quando incrociava la mia testa che si sporgeva a cercarla in bilico oltre la sedia sorrideva. Lo faceva allo stesso modo che lo fanno i bambini: allargando al massimo la bocca al punto che le labbra sembravano scomparire. Poi diceva: “tranquillo, il dottore arriva subito”. Ed io ficcavo la testa nella rivista come se non avesse detto niente. Cercavo di non concentrarmi su di lei. Mi convincevo che solo se avessi studiato tutte quelle riviste consumate sarei riuscito ad essere importante. Forse addirittura mi avrebbe chiamato “dottore” con la stessa morbidezza con cui scandiva le parole. Ero felice quando mi guardava ed avrei aspettato per sempre senza entrare mai a farmi visitare. Ma, si sa, le cose belle non possono durare per sempre ed alla fine entravo dal dentista che puzzava di sigaro.
Di quei momenti tutto quello che mi resta sono quattro otturazioni e la certezza che i capelli e le unghie crescono anche ai cadaveri.
Finalmente sono riuscito a staccare questo pezzo di cena dai denti.

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