Quella sera al ristorante c’era molta gente. Sembrava quasi
impossibile. Ci siamo seduti timidi come due vecchi amici che non si vedono da
troppo tempo. E abbiamo aspettato che ci portassero da bere.
Tra le chiacchiere ed i piatti la sala aveva l’odore della
cucina tipica e delle domeniche in famiglia. La luce accarezzava l’atmosfera
con le sfumature della seta d’estate e dei petali di una grossa rosa sanguigna.
L’aria sembrava avere una consistenza morbida e piacevole. E lei era bellissima
dentro quel vestito da sera scollato che non aveva mai osato mettere. Lo spacco
le scopriva le gambe da sopra il ginocchio. Mi immaginavo in una canzone di
Barry White.
Solo dopo che il cameriere si è allontanato lasciandoci i
bicchieri pieni di rosso lei ha alzato lo sguardo su di me. Io indugiavo sul
collo allungato del suo calice che sfumava il rosso del vino. Ma li sentivo i
suoi occhi fondenti intorpidirmi.
“C’è una cosa che ti vorrei dire…” disse sottile, quasi
aspirando ogni sillaba. Passava l’indice della mano sinistra sui rebbi della
forchetta. Lenta e meticolosa si pungeva ad ogni passaggio. Non saprei dire se
lo facesse di proposito.
Richiuse le labbra dipinte di fuoco e deglutì cercando le
parole o il coraggio.
“Spara!” la incoraggiai.
E lei mi colpì.
Fortunatamente aveva una pessima mira.
3 commenti:
Un tempo facevo colazione con Rossella Brescia.
già, è successo anche a me...
poi ho smesso di mangiare i cereali Nestlè e di preoccuparmi della pancia piatta.
scommetto che tutto è partito da "rebbi"
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