mercoledì 29 agosto 2007

Il colpo di Arturo, Torre e Pizza (parte 5)

Arturo, seduto sulla sua poltrona davanti alla porta finestra che da sul viale, faceva seguire allo sguardo i pensieri.
La gioielleria davanti a casa, dove innumerevoli volte si era soffermato ad osservare quell’amato IWC Portoghese cronografo in acciaio, fu la prima cosa su cui appoggiò gli occhi. Non era appassionato di orologi e non ne capiva nemmeno nulla in fatto di meccanismi automatici e cariche manuali, ma il fascino dell’eleganza di quella linea lo rapiva e, come una rapsodia, gli faceva danzare i pensieri al ritmo dei secondi. L’indomani sarebbe entrato e, senza nemmeno volerlo provare, lo avrebbe acquistato. Al polso avvertiva già la pesantezza dell’acciaio del vetro dell’orgoglio e nell'orgoglio provava già la soddisfazione di indossarlo.
Il bar dove lavorava Marina, quella gran passerona che rimbalzava di fiore in fiore, premurandosi di sceglierne uno con sempre più grana. Ma se lo meritava. Aveva quel culetto, non rinsecchito come l’hanno le modelle, ma morbido e sporgente come quello delle brasiliane. Le sue gambe facevano fantasticare anche i vecchietti che le chiedevano un bianco alle 10 di mattina. Il suo viso dolce, gioviale e perennemente sorridente, con quei due occhi verde smeraldo che riuscivano a diffondere buon umore anche nelle giornate uggiose di autunno. Nel giro di una settimana al massimo, Arturo ne era certo, sarebbe riuscito a farla sua, viziandola e riverendola come si deve alle principesse.
Il rivendiotore autorizzato Harley Davidson e Buell, davanti alle cui vetrine troppe volte, come un bambino, Arturo si era perso a fantasticare su quell’incantevole modello di Buell Firebolt XB12R nera e gialla da più di 12.000€. Era un vero piacere per i suoi occhi. Portare al lago Marina con quel mezzo, evitando le code che tormentano e rubano fascino a quei fantastici posti. Anche quella l’indomani non sarebbe più stato un desiderio per lui.
L’agenzia viaggi, dove massimo era andato ad acquistare un biglietto del treno per evitare la canicola estiva in coda alla stazione, pure quella da domani sarebbe diventata il suo punto di fiducia per prenotare i viaggi caraibici che avrebbe finalmente cominciato a fare con cadenza semestrale oppure per prenotare la settimana bianca a cavallo di Natale e San Silvestro.
Arturo, dalla poltrona, aveva un occhio puntato sul futuro. Domani sarebbe stato il futuro. Da domani Arturo avrebbe finalmente garantito il rispetto, che sino a quel giorno aveva sempre negato, a quel suo nome mal sopportato.
Domani sarebbe stato tutto ma prima doveva assicurarsi che tutto, quella sera, filasse liscio come l’olio. L’ingranaggio doveva funzionare alla perfezione ed a quel punto tutto sarebbe andato bene. In palio c’erano un sacco di soldi e la possibilità che diventassero ancora di più. Almeno il triplo.

Solitamente, nelle ore che precedevano un colpo, Arturo si sentiva sempre estremamente tranquillo e confidente nella buona riuscita. Ma fino ad ora, si era sempre trattato di piccole cose, una cassa continua da forzare, un bancomat da far saltare, un distributore self service da convincere a sganciare la grana, niente di più. Il rischio che partisse un colpo da un’arma poteva essere causato solo dalla distrazione o dalla leggerezza con cui la si maneggiava ed al massimo avrebbe determinato una fuga più veloce. Stavolta la possibilità che le armi diventassero necessarie era data quasi per certa. Per la prima volta si trovava ad agire avendo di fronte non macchine sputasoldi bensì persone, guardie. Lui, il topo, si trovava ad avere a che fare direttamente con il gatto. In quella circostanza si sarebbe trovato davanti due occhi, scuri o forse chiari non avrebbe avuto differenza, sarebbero comunque stati pieni di vita ed ofuscati da un misto di desiderio di sopravivenza e terrore. Si sarebbero rivelati esattamente uguali a quelli del Pizza o del Torre, probabilmente addirittura identici ai suoi. Non c’era nessuna combinazione da comporre o bancomat da strappare dal muro, doveva affrontare almeno tre uomini armati e corazzati il cui lavoro consisteva nel prioteggere il trasporto dei valori. I dubbi non mancavano, il rischio era obiettivamente molto alto ma mai, nemmeno per un secondo, la sua testa contemplò un ripensamento. Quella sera, non sarebbe più stato un colpo, ma il Colpo. Se tutto finiva liscio, da quel momento, Arturo si sarebbe trasferito in un’altra città, si sarebbe affacciato ad una nuova vita lontano dalla precarietà generata dai piccoli crimini.
Arturo avrebbe cominciato la sua nuova vera vita. Arturo sapeva nel profondo della sua mente che per un criminale, riuscire a cambiare vita è estremamente difficile, quasi impossibile. Questo lo sapeva bene, ricordando uno dopo l'altro tutti i nomi di suoi conoscenti che comunque ed inesorabilmente erano finiti dentro ed una volta riconquistata la libertà, quasi inconsapevolmente si ritrovavano immersi e trascinati nuovamente nel vortice della delinquenza e della criminalità; l'unico stile di vita che conoscevano e che li avrebbe sempre riaccolti a braccia aperte una volta diventati reietti avanzi di galera.

In quel momento Arturo non era tranquillo come al solito. Il pensiero che gli altri suoi complici potessero commettere qualche cazzata, lo rendeva pensieroso e cupo.
Per la prima volta nella sua vita, avrebbe volentieri chiacchierato con qualcuno, cercando di scaricare parte della tensione accumulata e che adesso cominciava a fargli dolere la testa. Una presenza umana, non necessariamente amica, al suo fianco gli sarebbe sicuramente stata di grande aiuto. Ma Arturo non aveva mai avuto nessuno con cui scambiare 4 chiacchiere od affrontare un tema abbastanza personale da esulare dal tempo o dal carovita, dalla politica o dallo sport. In quarant’anni aveva accumulato emozioni, sensazioni, preoccupazioni e quant’altro sotto uno strato di grigia indifferenza. I suoi stati d’animo, come la polvere, erano sempre stati spazzati sotto il tappeto, nascosti solo alla vista ma mai eliminati definitivamente. Intorno a se, come un artropode, un esoscheletro lo schermava, separando quello che provava dentro di se da tutto quello che invece lo circondava. Niente che lo riguardasse personalmente al punto da toccarlo in prima persona lo preoccupava. Non un terremoto, non la morte di un bambino, non un colpo di Stato od una guerra, riuscivano a rubargli un’emozione. Come la pelle di un pescatore dopo decenni di sole, acqua, sale, vento e solitudine non avverte più la differenza tra una carezza ed uno schiaffo, anche il cuore calloso di Arturo era ormai incapace di reagire a qualsiasi stimolo. Ed anche quando qualcosa lo colpiva in quanto Arturo piuttosto che comune essere umano, in ogni caso la reazione rimaneva celata e nascosta dagli occhi, comunque indifferenti, della gente.

Il colpo, da mesi progettato, era all’apparenza abbastanza semplice da realizzare.
Il Pizza, al volante di un’auto resistente, all’altezza di una strada secondaria, avrebbe dovuto superare un furgone portavalori e, rientrando in carreggiata, tagliargli la strada piazzandoglisi di traverso a pochi metri. In senso contrario sarebbero arrivati il Torre ed Arturo con una anonima ma veloce auto utilizzata come ponte, munita di una bombola d’ossigeno ed una fiamma ossidrica. In pochi minuti avrebbero forzato il portellone tenendo sotto tiro le guardie le quali, assicurate sui furti e rassicurate dalle parole che avrebbe pronunciato Arturo, non avrebbero rischiato la pelle consegnando loro il malloppo. Il Pizza avrebbe messo fuori gioco il furgone e, una volta pronti, tutti e tre, con la macchina procurata dal Torre, avrebbero percorso quei pochi chilometri che li separavano dalla Polo arrugginita di Arutro, precedentemente posizionata in uno slargo vivino ad un campo incolto. Una volta incendiata l’auto rubata utilizzata per la fuga, i tre si sarebbero rifugiati in un casolare abbandonato in aperta campagna, ad una ventina di chilometri, dove avrebbero trascorso qualche giorno in attesa che le acque si fossero calmate.

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