lunedì 20 agosto 2007

il cane del buon vecchio Colmackie

Avevo innegabilmente assassinato il cane del mio capo. Con sadismo qualcuno potrebbe aggiungere. Ragionevolmente. Non mi ero accontentato di quel piatto arricchito dal cianuro. Gli avevo pure conficcato un paio di dardi sulla schiena in puro stile corrida. E dovevo aver beccato una arteria. Il sangue dipingeva il legno per terra, il bianco alle pareti e le mie scarpe lucide da bowling. Piccole gocce si allargavano sfumate filtrando nell’intonaco. Come una goccia di pittura si sdraia su di una tela tesa.
Il cane ringhiava bava bianca. C’era puzza di vomito e bile. Lo stesso odore di una confezione aperta di fegato di maiale.
Il colpo di grazia glielo diedi con un calcio ben assestato in faccia.
“Stack” La testa gli si girò.
E cadde a terra pesante. Gli occhi aperti guardavano su. La bava andava riassorbendosi nei peli del muso con grumi gialli congiuntivite.
Ci fu un attimo di silenzio. Respirai. I dardi penzolavano senza vita. Stanchi comignoli di stufe inutili. Il sangue non zampillava più forte sui muri. Non era stato un lavoro chirurgico come previsto. Mi ero fatto, per così dire, prendere dal pathos del momento. Calcare la mano. Il cane poi non c’entrava niente. A me Marianna piaceva pure.
“Che macello!” dissi troppo forte per sembrare del tutto naturale. Nei film in questi istanti l’attore guarda la telecamera regalando qualche momento di filosofia spicciola. Tipo frasi da Baciperugina.
Le mie scarpe erano da buttare. E pure i pantaloni.
Respirai a fondo osservando quel casino di peli e sangue che non sarei certo riuscito a pulire. E tanto meno a spiegare.
Mi accesi una sigaretta muovendomi lungo il corridoio. Reinfilai in tasca l’accendino d’oro.
Sul bancone della cucina a pochi passi riluceva una anfora nera. Si specchiava sul marmo scuro del piano. Aveva tutta l’aria di essere un oggetto costoso. I miei passi suonavano sudati sul pavimento in ciliegio. Passai a fianco del vaso ad una distanza reverenziale di svariati centimetri. Lo sollevai tra le mani, specchiai il mio volto nel suo collo allungato. Soffiai fuori il fumo e lo riposi.
“Bell’oggetto” pensai. Come quelle macchine vecchie tirate a lucido che corrono la Millemiglia. Se c’era una cosa che al mio capo non mancava era il buon gusto. Si contornava solo di oggetti belli e spesso unici. Come era stato il suo cane. Come era ancora quell’anfora. Anche le persone che lo circondavano, dalla segretaria ai collaboratori più o meno stretti avevano un bell’aspetto. E questo mi lusingava.
Quando entrai nella Colmackie avevo poco più di ventun’anni, una laurea fresca ed una sfacciata ambizione.
“Rampante, molto anni ‘90” lessi in una missiva privata pervenuta nel 1999 a Colmackie in persona da Stumbeck. Quasi commovente.
Ero nello studio ora. Sfogliavo gli archivi.
Odore di quella polvere sottile che sfugge anche alla più abile donna delle pulizie. Dal colore marrone, magari sfumata in grigio. Quella incastrata nelle piegature delle cartelle di cartone giallo.
Pensare a Stumbeck mi fece sorridere come quando si ricorda una foto scolorita che ci ritrae giovani ed in compagnia di un improbabile amico. Stumbeck era stato il mio capo. Stumbeck aveva posseduto una fortuna di automobili di marca, cristalli, ville in Sardegna e donne bellissime. Stumbeck era tutto quello che volevo essere a ventitrè anni. Cambiai idea l’anno seguente: il 2002.
Il 2002 fu l’anno del mio interessato divorzio da Costanza, la donna della mia vita.
Il 2002 fu l’anno delle mie interessate nozze con Carla, la figlia di Colmackie.
Stumbeck divenne insignificante seduto ad un tavolo, lontano dai festeggiamenti. Si faceva sempre più satellite lasco del sistema solare Colmackie. Distratto dal buco nero della sorte. Ero soddisfatto come il pedone degli scacchi che coglie la regina di sorpresa.
Brindai e lo champagne mi bagnò il polsino bianco inamidato. Altri tempi.
Il sangue che mi imbrattava le scarpe in quel momento anni dopo sembrò per un momento irreale. Le punte su cui cercavo di equilibrarmi disegnavano sbavati sorrisi rossi sul parquet. Sarei potuto scivolare facile.
Prestai nervosa attenzione.
“Quel cazzo di cane! A Colmackie glielo avevo detto: “se vuoi qualcuno che ti sia fedele 10 anni compra un frigorifero”. E lui aveva chiesto a Banny, la sua segretaria cerebrolesa, di invitare Petr dalla Russia”.
Petr possedeva un allevamento in Toscana che frequentava come si fa con parenti: a Natale, a Pasqua e quando muoiono.
Petr arrivò in aereo da Mosca. Si sistemò nella sua stanza poi cenammo assieme. Questi dimostrò particolare abilità nella scelta dei vini provandosi in accostamenti improponibili. Molti prevedevano un qualche tipo di confettura. Rincasammo allegri. Ciascuno con la sua signora sottobraccio. Ero probabilmente persuaso di amare più Carla di Costanza. Sbagliavo.
Il giorno seguente Petr si presentò con un panama e calzoncini corti alla colazione nel parco. Mangiò poco e parlò ancor meno. Ricordava solo vagamente la affabile persona con cui avevamo trascorso la serata. Il naso tagliente ed il mento austero. Passò il pomeriggio in quel risibile abbigliamento misurando la casa e il giardino con un metro. Poi ripartì per Mosca e non ci rivedemmo più. Non mi dispiacque molto.
Il sangue intanto andava marcendo nell’ingresso.
Un mese dopo conobbi Marianna, il cane. Me la presentarono che avevo un completo marrone. Poi mi avvicinai al tavolo bianco disegnato in ferro e colorato da qualche bicchiere che avevo abbandonato poco prima. Gli occhi verdi del pastore tedesco sull’attenti a poca distanza. Recuperai il mio karkadè. Meno rosso del sangue di quella bestia spalmato sulle pareti che in quel momento ripercorrevo con l’apprensione di chi sa di essere spacciato. Lo scalpiccio si faceva più bagnato e confuso. Probabilmente sudavo. Non avevo trovato il mio taccuino nello studio assieme a tutte quelle inutili scartoffie.
Rassegnato quindi mi feci raccomandare da un amico un cinese per rassettare tutto quel casino.
Devo ammettere che fece un ottimo lavoro.
Il vecchio Colmackie, il suo cane ed il mio taccuino non saltarono mai più fuori.

1 commento:

Anonimo ha detto...

il cane però no! cazzo!