martedì 29 settembre 2009

Esperienza di vita: l’happy hour

È stata l’estate di qualche tempo fa. Ripetevo qualche passaggio di On The Road senza una spalla a cui appoggiarmi. Lasciarmi trascinare. Avevo un punto fermo ed un cellulare che riceveva e telefonava anche all’estero. Era bianco e di mia sorella. Faceva anche i video che per quei tempi era il futuro. Oggi è passato prossimo.
Chiesi una birra e me ne portarono due. C’era l’happy hour ed in quel locale funzionava così.
“Paghi uno e prendi due” sorrise il barista in bilico tra un piede ed un trespolo artificiale che si infilava nei suoi tatuaggi sul polpaccio.
Mi sentii improvvisamente ancora più solo. Di quei momenti in cui vorresti rifugiarti in un bel libro dalla copertina rigida, in una ideologia, in un messaggio lasciato in segreteria. Sarebbe anche bastata una qualsiasi partita alla televisione.
Ringraziai aggrappandomi saldo al primo bicchiere.
Il bar era mezzo vuoto. C’era un gruppo di ragazzi con più o meno la mia età di allora poco lontano. Sedevano attorno ad una grossa botte su cui avevano appoggiato un secchiello pieno di birre in bottiglia. Ridevano.
Ripassavo le migliori battute ma era come masticare una seppia poco cotta.
Bevvi quindi ripassando i testi di gioventù: bibbie dell’autodistruzione. E volevo essere come Arturo Bandini. Mi crogiolavo nella mia dislessia comunicativa.
Presto finì la prima birra ma il cameriere non accennava a portare via il bicchiere vuoto. Rimaneva appoggiato ad uno sgabello ad ascoltare una radio tenuta troppo bassa per fungere da sottofondo.
Per scherno continuavo a fissargli la protesi che era un semplice tubo di ferro con attaccata una scarpa da skate tipo Vans. Lui se ne fregava ed anzi sembrava esserne orgoglioso come un militare di una ferita di guerra.
Considerai la mia cicatrice sul ginocchio costatami uno scooter poi riattaccai a bere. Il telefono che faceva anche i video era acceso ma non suonava almeno da due giorni. Ero partito perché nessuno mi trovasse e nessuno ancora mi aveva cercato.
La birra intanto si era scaldata ed i ragazzi avevano recuperato un altro secchiello di bottiglie.
La sola parola che mi veniva in mente era: colpo apoplettico.
È una parola che ho scoperto in rete e ci tenevo davvero ad usarla. In fondo ci vuole poco per sentirsi meglio.

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