lunedì 14 settembre 2009

una occasione speciale

Era un’occasione speciale, per quello avevo comprato i fiori che agonizzavano sul sedile accanto al mio. Sotto il sole in una macchina con l’aria condizionata troppo diplomatica per essere di qualche sollievo. Indecisa. La radio ripeteva più o meno la stessa musica del giorno prima e mi si attaccava ai vestiti puliti assieme alle prime gocce di sudore. Dovevo guidare fino alla rotonda di via Togliatti, poi prendere a sinistra verso il centro. In quel momento attraversò la strada una ragazza che non riuscii ad evitare di guardare. Sollevai il piede dall’acceleratore poi lo rimisi giù. Ai 75 km all’ora.

Stefania aspettava davanti alla gradinata di una scuola. Le passai davanti con l’auto ma lei non mi riconobbe. Guardava dritta nel vuoto con la sua uniforme attillata completata da scarpe col tacco e occhiali da sole Ray Ban.
Decisi di proseguire dritto per un po’. Chiamiamola paura riservandoci il diritto di rettifica in seguito.
Mandai giù un sorso secco di saliva e mi venne di pensare che magari avevo mangiato un po’ pesante. Vedevo la scatola di mentine sul tavolo da 4 sedie a riposo nella mia cucina, le mie tasche vuote e la strada che si apriva deserta come un autodromo dismesso. Possibilità da partita a scacchi.
Guardai i fiori che minacciavano la morte imminente. E mi trovai nello stomaco quella sensazione di quando in gelateria mi chiedevano se volevo un cono o una focaccia con panna rimediando una imbarazzante scena muta. Di solito per me parlava mia madre.
“Oggi Dante prende un bel cono gelato” diceva accomodante ed autoritaria.
Io solitamente uscendo protestavo. Una volta ho detto anche “vaffanculo” nel modo sgangherato che hanno i bambini di fare il verso alla televisione. Ne ho ricavato una fastidiosa pedata in culo. Da allora giro a largo dalle gelaterie e a cena salto sempre il dolce.
Quel giorno quindi proseguivo incerto vedendo Stefania sbiadirsi nello specchietto retrovisore. Quando scomparve decisi di trovare un bar. In fondo ero ancora ragionevolmente in orario.
Alla radio una canzone ripeteva un ritornello orecchiabile.

Al barista chiesi un’opinione. Erano meglio le gomme da masticare o le mentine piccole ad effetto immediato ma non necessariamente duraturo?
Lui mi guardò. Aveva una camicia bianca indossata per almeno due giorni. I polsini avevano delle gocce di caffè pulite alla meno peggio, il colletto era molliccio e sulla schiena c’era una striscia più scura come si fosse appoggiato ad un muro sporco di polvere. Aveva gli occhi sudati di chi non ha voglia di discutere.
“Scusi, sono un po’ nervoso” mi giustificai optando per entrambe le soluzioni.
Battè sulla cassa 2 euro e 50. Pagai con una banconota da venti per metterlo in difficoltà. Subdola vendetta.

Quindi ero di nuovo in auto. Considerai che i fiori dopotutto erano ancora ragionevolmente composti ed i capelli mi stavano abbastanza bene in testa. Mi rimisi velocemente in auto. Mangiai una mentina con un sospiro di sollievo e rischiai di soffocare. Iniziai a tossire diventando in un attimo un sudato pellerossa con un soprannome tipo Toro Sudato.
La mia auto sbandava perdendo velocità. Sterzava al ritmo dei miei conati. Qualcuno sorpassava suonando il clacson, altri sollevando il dito medio fuori dal finestrino, un mi mandò a cagare.
“Va a cagher!” disse alla mia faccia paonazza.
Vedevo strisce di realtà dipanarsi nelle retrovie e sentivo una bestemmia asciugarmisi in bocca.
Accostai per istinto di autoconservazione.
Scesi battendomi sul petto e finalmente fui libero dalla caramella. Ero sudato e con lo stomaco ribaltato dallo sforzo. Mi concessi il tempo necessario per riabituarmi alla prospettiva di essere ancora vivo, solo un po’ in ritardo.
Quindi recuperai la via con la prudenza di chi si riprende dopo un colpo di sonno in autostrada.
Alla radio passava una pubblicità delle assicurazioni.

Calcolai che per raggiungere Stefania mancavano appena 5 minuti. Il mio ritardo era poco più che insignificante. Mi calmai quindi cercando di riassorbire il sudore con un vago aiuto dell’aria condizionata. Con la cautela di un disinnescatore di mine iniziai a succhiare una nuova mentina pronto a qualsiasi eventualità. Riposi la mano sul pomello del cambio e l’altra sul volante. Mi venne in mente quanto mi aveva fatto star male Claudia e dopo di lei Carla che era tornata col suo ex. Ripensai a quei messaggi sconclusionati fatti di alcool, ormoni e frustrazione. Al ripetuto rastrellamento ad occhi aperti dei locali che frequentavo con loro. Alle battute pronte che diventavano obsolete ed inutilizzabili. Stronzate.

Ci sarebbe stata una sera in cui, per caso, Claudia avrebbe finito per aspettare che Fabrizio tornasse dal bagno. Con lei quel vestito sottile grigio con una scollatura ovale sul davanti. Mi avrebbe sorriso sulle difensive.
Una canzone ricercatamente popolare tipo Coldplay avrebbe accompagnato il mio ingresso in scena.
“Ciao” avrei detto con finto imbarazzo da mani in tasca.
“Ciao” avrebbe risposto da una realtà parallela.
“Mi piace il tuo ragazzo, fa molto paginone centrale di Gaymaster. Sicura non sia l’alter ego di Vladimir Luxuria?” avrei proseguito.
E l’avrei lasciata lì.

Svoltai a destra a 3 minuti da Stefania.

Poi magari, in un posto che frequentavamo assieme riempito di arredo in legno pesante tipo tavoloni in ciliegio, avrei visto Carla al tavolo col suo ragazzo. Lo stesso con cui stava prima di me. Un tipo un po’ schivo da braccia incrociate ad un concerto. Con una serie di magliette che additano al suo arguto e sottile senso dell’umorismo. Supposto chiaramente.
Comunque sarei andato al tavolo con un sorriso diplomatico. Di quelli da foto di gruppo dei capi di governo che riportano i giornali. Meno abiti formali e scarpe lucide.
“Carla, ho l’ADIS” avrei annunciato un attimo dopo avere cortesemente salutato.
E poi mi sarei allontanato lasciando le loro bocche spalancate molto visita dentistica.
Non sarebbe stato male.
Comunque a quel punto ormai vedevo Stefania. Alzai ed abbassai la musica concentrato sulle parole da dire. Rallentai ai 40 km/ora. Qualcuno mi sorpassò con una Croma grigia ammaccata e scrostata che rifletteva degli scintillii strani. Accusatori ed incerti. I fiori sul sedile mi fecero coraggio in un ultimo slancio vitale. La mia maglietta sembrava finalmente vestirmi bene. La mentina era quasi completamente sciolta e non avrebbe ostacolato la comunicazione.
Finalmente vidi Sabrina. Si era fatta un po’ più sulla strada e si guardava attorno col telefonino in mano. Auto indifferenti di macchiette uguali dirette verso casa. Stanche.
Strinsi forte il volante. Saldo e sicuro col logo FIAT incollato al centro. Imperativo.
Pronto ad una nuova relazione placcata amore. Con abbondanti prospettive sessuali.
Mi fermai e lei finalmente mi riconobbe.
Sorrise. La maglietta aderente aveva un senso mentre camminava tranquilla verso di me. Prendendosi la sua rivincita sul tempo.
Ero in ritardo di 35 minuti ma comunque riuscii a non farmi preoccupare il volto.
Aspettai determinatamente calmo quei pochi misteriosi secondi che ci separavano.
Guardai un attimo i fiori ormai trapassati nella loro composizione raccolta da una rete arancione ed un fiocco giallo. Poi la sua faccia era lì. Dove per giorni l’avevo immaginata.
“Ciao Stefania”.
Sorriso, pausa, indifferenza: corteggiamento.
Respiro profondo ghiacciato menta.
“Stefania? Guarda che io sono Chiara…” pugnalò il mio cervelletto.
Accellerai e lei rimase lì a guardarmi andare.

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