martedì 23 febbraio 2010

Il suo inatteso regalo di Natale

Il suo regalo arrivò inatteso. In fondo Natale era passato da un pezzo. Ci eravamo frequentati da novembre a gennaio con l'entusiasmo della coppia matura. Senza pulsioni. Tendenti ad una reciproca dipendenza psicologica. E poi bevevamo un sacco. Malinconici come un prodotto di sottomarca del discount che sfilava ogni giorno a destra dell'autobus per la strada da casa al lavoro.
Disse che mi avrebbe stupito. Lo fece con il suo sorridere piatto ed orizzontale, un mese prima di allora.
Era la vigilia di Natale. Io e lei lontano da tutti. Eremiti al 2 piano di quella stanza precaria e poco sofisticata. Minimalista più per possibilità che per scelta. Dai muri usati e pavimento sommesso. Dalle cicatrici nell'intonaco e le ante semiaperte del mio armadio pieno di troppe camicie da stirare. Dall'odore freddo e chiuso come dentro ad un frigorifero affamato.
Eravamo quindi uno davanti all'altra.
Guardavo le mie gambe incrociate immaginando i suoi capelli biondi, in cerca qualcosa da dire per sdrammatizzare.
Manifestavamo una troppo esplicita indifferenza per non essere studiata. Natale lo avevamo sempre celebrato. In un modo o in un altro. Comunque per l'occasione avevo anche nascosto il calendario. Ci eravamo sigillati fuori dalle stanze dei coinquilini lasciate vuote di corsa. Avevamo lasciato le luci intermittenti festeggiare ignorate fuori dalla finestra.
Poi crollò il castello di carte.
"insomma, buon Natale" dissi incerto da un pacco di pochi millimetri di spessore fatto di una busta di Ricordi pinzata alla meno peggio.
Si leggeva benissimo la scritta Sonic Youth ma lei domandò lo stesso che fosse.
"Cos'è?" disse.
I miei occhi delusi balbettarono un momento.
E un altro.
Imbarazzo.
Alla fine si decise a strappare la plastica.
I suoi denti sorrisero.
La mia spina dorsale aveva passato il materasso ed ora grattava le doghe in legno lasciando solchi di inadeguatezza. Aritmia ed asincronismo.
Vicino mi guardavano dal comodino in legno impiallaciato scarti di pollo arrosto ed un fondo di vino. Non eravamo ancora al dolce ed eccomi già all'amaro.
Lei era comunque lì e pensava probabilmente ad altro. Quasi saffica.
“Eccheppalle” pensai. Forse riferito al momento, forse riferito alla situazione. Forse per stemperare i pensieri con un lamento generico.
Mi sentii subito meglio.
Quindi passammo alla seconda bottiglia di vino parlando dei significati profondi delle derive della new wave. Io mi limitavo ad ascoltare, mandare giù, annuire.
presto ero ubriaco ma con la moderazione da primo giorno di scuola.
Lei aveva gli occhi azzurri e i capelli biondi e in quel momento sembrava bellissima. E magari lo era anche in realtà. Mi sentivo vagamente fortunato. In fondo chissà quanta gente si stava suicidando in quel esatto momento.
Lei continuava a parlare tra l'accondiscendente e l'affermativo scientifico. Infarciva il tutto con parole difficili. Ogni tanto mi toccava ora il ginocchio ora la testa, proprio sopra l'orecchio destro. Mi baciava sulle labbra con poco trasporto. Poi ricominciava a parlare ed io rimbalzavo indietro nonostante il materasso duro.

Il suo regalo arrivò a febbraio. Lo andai a ritirare in posta una sabato mattina che non faceva un gran bel tempo. C’erano quelle nuvole grigie stitiche che appiattiscono un po’ tutto. E l’aria era decisamente quella ancora tirata verso gli strascichi della notte. In posta non c’era molta gente, giusto qualche anziano che non aveva chiuso occhio tutta la notte cercando di ricordare qualche faccia o nome che avevano avuto incidenza sulla sua vita. Era ancora lì che masticava cercando di togliersi qualche indizio dalla punta della lingua. Con i capelli spessi e bianchi ed un cappello di panno. C’erano i numeri che si avvicendavano ed io ancora non sapevo cosa stavo aspettando. Quando mi consegnarono la scatola mi sembrò di ricordare la sua scrittura. Ma in quel periodo mi confondevo spesso giurando di incrociarla in questo o quell’altro posto e mi ero abituato a lasciar perdere qualsiasi deduzione. Quindi uscii nel fatiscente cortile dal porticato in ferro rosso e ruggine e mi sedetti tranquillo al freddo su un blocco di cemento armato scartando il pacco con calma che aveva la dimensione più o meno di una scatola da scarpe. Dentro non ci trovai niente di speciale accompagnato da un biglietto di auguri di Natale.
Ritenni comunque necessario inviare un messaggio a Sabrina ringraziandola per quel pensiero stupendo che aveva avuto. E non mi dispiacque poi tanto non rivederla mai più.

2 commenti:

comune ha detto...

prolifico, così mi piaci!
adesso qualcosa comincia anche a far cacare...

nome ha detto...

più che altro direi costipato.