giovedì 3 giugno 2010

Spiaggia

Passeggia con le sue gambe depilate da calzetti in filo di scozia. Ripete sempre lo stesso avanti ed indietro. Pesta sui suoi passi di sabbia capovolti e poi li capovolge di nuovo. Crede di non pensarci ma è così. Intanto si tiene il telefono appoggiato cortesemente all’orecchio. Usa tre dita. Questa posizione mi sembra ricalcare scene ottocentesco fatte di ore del tè e mignoli nobilmente sollevati. Ma fa troppo caldo per il tè del pomeriggio. Andrebbe bene una di quelle bevande colorate da sportivi. Integratori energetici o cazzate varie. Sponsorizzate dal bicipite o lo scatto di qualcuno. Persone informate sui fatti mi hanno anche detto provochino la cellulite ma non ho verificato su wikipedia. Ogni tanto mi fido.
L’aria sa di mare in una bottiglia di birra sporca.
Carpisco qualche parola della conversazione ottimistica che mi sfila davanti.
Scommetterei le palle che i suoi occhi non ridono come voce e sorriso. Scommetterei che pure lui si domanda “che ci faccio qui”. In fondo. Ma forse è troppo. Non pare improvvisato come il sottoscritto. Ha un ombrellone con 2 sdraio ed una sedia da regista pagati per tutto il mese, una collezione che qualsiasi dentista invidierebbe di Focus e Vanity Fair, un paio di figli che poco lontano danno la caccia ai granchi raccogliendoli codardamente con una lenza da pesce dentro in secchiello, una accompagnatrice con le tette nuove di zecca che quasi c’è ancora l’etichetta con il prezzo. Si vede da come cammina per tornare allo sdraio. Roba da film porno ma senza tacco alto. Io intanto macero nel mio asciugamano Tribord che tenta continui decolli sollevando la sabbia che mi si appiccica, sulla crema distribuita male, sul sudore della fronte, su un libro noioso aperto a pagina 123.
La telefonata intanto continua ad andare avanti e indietro.
Non sono il solo a fissare la perfezione delle tette finte. Io a differenza degli altri però solo lo faccio senza occhiali da sole e con la faccia di chi sale a 12 anni per la prima volta sulle montagne russe. Sorriso d’avorio mi guarda ripetendo al telefono: “benissimo” e “grande!”. Uno dei figli urla ed un altro lo soccorre schiacciando un granchio minuscolo con una paletta dalla punta di ferro. Il suono è più o meno quello di un campanaccio suonato senza lasciarlo vibrare ma ha il sapore di un inatteso calcio nelle palle. Per cinque secondi i fratelli biondi con la pettinatura da surfista diventano i protagonisti dell’attenzione del circondario. Rimangono immobili guardandosi attorno quasi stessero salendo cinque piani con un ascensore.
Poi torniamo tutti alle nostre occupazioni. C’è un gran rumore di riviste che si sfogliano. Qualcuno si schiarisce la gola. Tetta si gira a pancia ingiù sulla sdraio. Con una delicatezza da pubblicità del bagnoschiuma.
Mi chiedo davvero come andrà a finire mentre cerco di recuperare una posizione comoda ma proprio non ci riesco.
Per fortuna arriva il bagnino e mi ricorda che quella è una spiaggia privata e che se non ho intenzione di prendere un lettino posso spostarmi e cercare l’oasi caotica della spiaggia libera.
Per un momento tutti mi guardano come quando suona l’allarme proprio mentre si esce da un negozio. Disapprovano.
Il bagnino ha una voce per nulla cordiale. È chiaro che non mi vuole ospite del suo prestigioso bagno. Ripasso la filosofia spicciola da manifestazione ormonale degli ultimi anni di scuole superiori ma non dico niente. Guardo i peli rivoluzionari sui miei polpacci e me ne vado raccogliendo alla meno peggio le mie cose.
Al bagnino auguro ogni male possibile.
Odio la riviera romagnola.

Nessun commento: