mercoledì 23 giugno 2010

Stasera Carlo Magno mi fa una pippa

L'amore ci rende buoni, ottunde la nostra già di per sé ottusa mente, ovatta i nostri sottili pensieri e smussa gli spigoli della vita ai nostri miopi occhi.
Risultato: l'amore ci rende sempre un pò più coglioni di quanto non siamo già!
Perché? E' semplice come pestare una cacca di cane sotto i portici di Via Zamboni; potresti quasi non rendertene nemmeno conto, almeno fino a che non ti chiudi in ascensore. Perchè gli spigoli della vita non si smussano per un cazzo con l'amore, ma rimangono vivi e offensivi come sempre, anzi, divengono più pericolosi perchè nascosti come una Tracina sotto i pochi centimetri di sabbia del nostro amore, in agosto...
E intanto cammino sui soliti chilometri di asfalto americano rossastro seduto comodo comodo sulle settantasei rate, color rosso malizioso, ancora da pagare. Ho la mente libera da tutti i pensieri che contemplano lei. Scarrozzo, sicuro come un moderno Carlo Magno della Bassa, su queste strette strette lingue di graniglia schivando invitanti buchi neri ed evitando banchine intransitabili a pochi metri da un fiume melmoso che, arrogante, si è steso come un fazzoletto lercio nella golena infestandola di cadaveri di pecore, demoniache zanzare, fertili nutrie e flaconi di plastica, lambendo la base di pioppi giluvi e salici dal portamento palesemente gay. Sto molto attento a non finirci dentro. Non tanto per me quanto per quel povero ragazzo che transitando per questa strada, con un'erezione vistosa rinchiusa nei jeans e una ragazza poco distante (dall'erezione), con mille e più fantasie erotiche a spasso per la sua mente cresciuta a suon di film porno veri, quelli degli anni d'oro, gli ottanta: la belle epoque del pelo pubico incolto, vedendomi capottato ed incastrato in quelle maledette lamiere non ancora mie, come sapesse che mi mancano ancora settantasei rate, si troverebbe costretto, spinto da un maledetto ipocrita senso civico d'altri tempi e duro a morire, a buttarsi in questa immensa distesa merdosa per salvarmi da una morte sicura e permettermi di rovinarmi definitivamente la vita pagando rate su rate per i prossimi anni a venire e vedersi spalancate per l'eternità le scultoree gambe della sua compagna. Fanculo. Quindi guido con estrema prudenza. La radio trasmette un insolente concerto barocco eseguito per l'occasione da una pretenziosa orchestra padana composta da rane, cicale, gufi, grilli e civette. Il rumore placido placido del motore fisso sui duemilacinquecento giri al minuto entra nell'abitacolo dai finestrini, abbassati per non soffocare, insieme ad un nugolo di zanzare danzanti, eccitate come quindicenni a Riccione e vogliose di esibirsi in numeri circensi sul mio sanguigno collo e sulle mie succolenti braccia.
"Ecco a voi, gentili spettatori, la più attesa, la più feroce, la più indomabile zanzara della bassa padana... stasera, solo per voi, seguiremo insieme il numero della famelica zanzara tigre..."
La luna fa capolino solo dopo la quarta curva a destra. Scomoda, si affaccia timida e pallida dietro cumulonembi violacei. L'avrei desiderata gonfia e tronfia, gravida e raggiante. Invece no. Come spesso accade, anche stavolta quello che vorrei non è quello che ho. Ma, diversamente, non mi frega un cazzo, stasera, e mi riconosco nella luna, ugualmente. Mi ci specchio dentro come in una pozzanghera che non riflette. Mi sento il viso pallido e avverto dentro di me una piacevole leggerezza di mente e di pensiero tipica delle serate trascorse a far capolino dietro spesse bottiglie opache verdognole di rubino Lambrusco ruspante. Questo mi infonde nuova forza. Energia. Felicità. Gioia. Ebbrezza. Un tarlo fisso in testa però c'è. A volte non lo sento ma so comunque che c'è e, cazzo, martella: lei. Lei. Questa sera, mi spiace, ma non è per lei. No. Stasera è solo per me. Me. Stasera sono l'imperatore di questo posto sperduto del cazzo. Del regno che nessuno conosce e vuole. Sono il centro del mio sistema solare e, crollasse il mondo, non intendo cadere nel solito tranello. Fanculo: ti esilio dalla mia mente e dai miei pensieri!
Sbirri su queste strade non ce sono mai. Manco le conoscono, forse, queste strade che non portano da nessuna parte. Coppola, Francis Ford intendo, se avesse saputo che al mondo esiste questo posto, avrebbe sicuramente ambientato quì Apocalypse now. Di spazio per l'introspezione, quì, ce n'è a bizzeffe. Tu, Francis, e tutti voi altri registi del domani, ascoltate me: girate il mondo e non lasciatevi suggestionare dalla sempliceità e dalla banalità, cazzo! Ma sbirri, per fortuna, niente, non esistono. Così stanotte mi posso permettere di guidare come un tempo: felice fino al midollo, con la bocca impastata, respirando l'odore della vita. Dell'orzo maturo. Dell'erba umida. Del pelo bagnato. Della merda di vacca. Scruto un punto luminosissimo nel cielo vinaccia, in alto, a destra del mio parabrezza. Che parola magnifica e d'altri tempi è parabrezza? Sentite: para-brezza. Ah, che goduria. Mi suona di Fitzgerald. Di automobili anni trenta con la capottina in tela a cento all'ora sulla costa del Maryland e di notti fumose traboccanti swing in scantinati newyorkesi al sapore di whisky... o di erre moscia busona, di Côte d'Azur, Saint Tropez. Quando la sento pronunciare immagino una splendida ragazza accoccolata in una splendida Morgan beige, con un foulard che le raccoglie i capelli e gli occhiali dalla montatura importante che le schermano gli occhi. Quanta bellezza. Poi, mi suona anche di pic-nic su verdi alpeggi svizzeri... Fatto sta che questo punto luminoso luminoso emana più luce della luna stessa. La relega addirittura in secondo piano. La sminuisce e la surclassa. La umilia. Ma quel punto non è una stella, sarà Venere. Un pianeta cazzuto. Popolato da fichissime Venusiane. Quindi, non ti preoccupare, oh dolce luna, non è colpa tua... Fanculo. Fermo la macchina e spengo i fari. Il concerto intanto continua imperterrito a tenermi compagnia. Anzi, ora conquista volume e pienezza. Non c'è un cane in giro in questa penombra. Sembrano le due del pomeriggio del giorno più caldo d'agosto in piazza a Castrofilippo, in Sicilia. Il deserto e la pace. La quiete senza la tempesta. Smonto dall'auto e con cautela mi sdraio supino sull'asfalto. Emana ancora un pò di caldo che non serve. Allora mi metto le mani congiunte dietro al capo e fisso il cielo girare e girare.

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