martedì 24 luglio 2007

Il colpo di Arturo, Torre e Pizza (parte 1)

La prospettiva per quella mattina non era delle più felici.
Un cielo color d’ottobre andino in una giornata di maggio padano era, a dir poco, fuori luogo come una confezione di panettone a Ferragosto in riva ad un affollato mare melmosamente torbido.
Dieci ore di ovattato sonno erano proprio quello che gli sarebbe servito, così come una donna, una macchina nuova ed un cane anche in ordine diverso. La sera precedente era uscito di casa con il proposito di bere un goccetto prima di abbandonarsi alle lenzuola ruvide di un letto sempre troppo spazioso.

Erano troppi anni ormai che conduceva una vita zoppicante, incerta, da poco, in saldo; proprio una di quelle vite che nessuno vorrebbe nemmeno regalata. La sua carrozzeria, all’alba dei quarant’anni, cominciava a mostrare segni di ruggine su ogni superficie ed il suo viso in particolare era sempre più segnato da lunghi solchi che lo tagliavano in lungo e in largo come graffi traccitai da un teppistello quattordicenne con la chiave del motorino. Le sue rughe erano ormai come certe grondaie ossidate e scure che si sporgono dalle facciate di qualche palazzo che visse tempi sicuramente migliori. Troppe erano state le notti trascorse parcheggiato sul trespolo ammuffito di un bar umido o quelle dimenticato lungo strade fredde e sporche.

Tutto era pronto. Tutto era stato minuziosamente programmato. Ogni eventualità vagliata. Si sarebbe trattato di provare, per l’ultima volta prima di un meritato ritiro dal crimine, quell’adrenalina e quello stato di agitazione che provò per la prima volta ventisei anni prima.

In quella circostanza, era entrato in un'edicola del centro per comprare, con i pochi spiccioli raccimolati nelle tasche della borsa di sua madre, un fumetto. Arturo era un fan sfegatato dei supereroi ed in prima fila, tra i suoi preferiti, alloggiava il grande Spiderman. Quel pomeriggio, una volta arrivato dinnanzi alla cassa dell’edicola, Arturo aveva, davanti a se, due persone in coda per pagare. In quell’attesa un qualcosa che solo successivamente descrisse improvviso come "il cane che picchia sul tamburo", scattò in lui. Un senso di frizzante benessere gli pervase d’un tratto il corpo. La mente prese a correre all’impazzata fantasticando su cosa sarebbe riuscito a comprare con quelle poche Lire risparmiate non pagando l’albo di Spiderman. Probabilmente sarebbe riuscito a prendere un gelato oppure un bel sacchetto di caramelle oppure un altro albo, magari quello di Hulk. Nei suoi occhi sgranati si rifletteva la luce asettica del neon sopra la cassa e nelle sue orecchie il brusio della città rimbombava prepotentemente. Tra le mani teneva un fumetto che aveva come protagonista un ragazzo all’apparenza del tutto normale, per non dire addirittura un pò sfigato, che nascondeva però dei superpoteri. Solo lui ed i suoi nemici lo sapevano. Quel ragazzo, un pò, lo disturbava e gli creava un senso di incomprensione. Lui, giovane, che con i suoi poteri avrebbe potuto fare tutto quello che avesse desiderato, nella vita comune, invece, passava sempre come quello più imbranato. Questo Arturo non lo condivideva. Da tempo pensava alla possibilità di incontrare per strada qualcuno che, insospettabilmente, sotto gli abiti civili, normali, celasse in realtà un'agilità da insetto, un'abilità da ninjia ed una forza mostruosa. “Magari anch’io possiedo dei superpoteri e non lo so, ma se trovassi il modo per utilizzarli farei…” e spesso si perdeva per ore a fantasticare su cosa avrebbe fatto, chi sarebbe diventato e via discorrendo.
Il sudore, in rivoli, cominciò a solleticargli la schiena ed il costato. I palmi delle mani erano scivolosi e freddi. Tutto d’un tratto, non rispondendo più agli impulsi volontariamente impartiti dal cervello al corpo, con una mossa tanto veloce quanto sospetta, con la mano sollevò la parte bassa della maglietta bianca dei mondiali ed adagiò, aderente all’addome umido, la copertina del fumetto. Nessuno pareva averlo notato. Ora aveva davanti a se solo una signora intenta a cercare le monetine per pagare la copia di Famiglia Cristiana e dell’Avvenire. Sempre guidato da una forza a lui estranea, Arturo con una camminata innaturale e con i lineamenti del volto tesi, si diresse verso l’uscita scansando la signora e, senza pagare, si buttò nel Corso. Man mano che si allontanava dall’edicola, dentro di lui, quel senso di appagamento e di benessere che solo negli anni successivi imparò a procurarsi, montò sino a raggiungere livelli mai provati prima. Non si voltò mai a guardare dietro di se ma il suo orecchio, per qualche decina di metri ancora, restò teso nel tentativo di percepire il benchè minimo segnale di allarme. Le gambe erano dure e cariche di dinamite. A qualunque avvisaglia di pericolo, Arturo avrebbe acceso la miccia e si sarebbe lanciato in una corsa supopersonica lasciando la gente esterefatta e gli inseguitori con un pugno di polvere.
Ormai era lontano dall’edicola, abbandonò il Corso per imboccare un viottolo più isolato e meno affollato sulla sinistra. Sul suo viso si delineò un sorriso compiaciuto e complice di se setesso. L’adrenalina, ormai raggiunto il livello massimo, lo fece sentire invincibile, unico, mitico, eroico. Quando la sua esaltazione accennò a diminuire, avvertì il bisogno di gustarsi tutto il piacere della refurtiva. Camminando verso i girdinetti, dentro di se si ripeteva “sono un ladro, ho rubato e non se ne è accorto nessuno. Sono il migliore...” ed in un crescendo di autocelebrazione, inconsapevolmente fece ingresso nel variopinto mondo dell’azzardo votandosi al crimine.

Il tutto si sarebbe svolto in tutta tranquillità in una manciata di ore.
Adesso si trattava solo di attendere che il tempo facesse il suo corso con la stessa continuità e costanza tenuta sino a quel momento. Doveva rilassarsi e liberare la propria mente. Sulla testa avvertiva tutto il peso dell'importanza di quanto stava per accadere.
"Faber est suae quisque fortunae" si ripeteva meccanicamente ignorandone il concetto più profondo.

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