mercoledì 25 luglio 2007

Il colpo di Arturo, Torre e Pizza (parte 3)

Il primo incontro tra il Pizza, Arturo ed il Torre ebbe a dir poco dell’epico.
Il Torre ed Arturo conobbero il Pizza per la prima volta nel parcheggio di una discoteca della zona, dove, ignorando ciascuno l'identità dell'altro, si trovarono a contendersi una macchina da rubare. Tutti più o meno coetanei, con un pregresso più o meno simile, alle tre di quella stessa notte, vennero a conoscenza gli uni degli altri. L’auto contesa era un bellissimo modello di Lancia Delta HF 16 valvole Evoluzione a trazione Integrale da più di 200 cavalli. Era un gioiellino che riassumeva potenza e bellezza. Una bomba. La sola vista ne usciva appagata ancor prima di aver provato la bruciante accelerazione sciogliendo le briglia della mandria di cavalli che nitrivano sotto il cofano. Un insieme di linee secche e spigolose condite da bombature laterali che davano l’idea di contenere a fatica l’esuberanza della potenza del motore. Faceva gola a tutti quella super car italiana.
Al Pizza interessava per un motivo meramente economico; aveva una commissione. La consegna dell’auto al ricettatore gli sarebbe fruttata la bellezza di 2 milioni di lire. Una cifra stratosferica per mezz’ora di lavoro in tutta sicurezza. Gli era capitata una vera occasione. Con quella cifra un ventenne come il Pizza aveva le idee ben chiare sul da farsi: qualche mese da nababbo tra lussi e donne.
Il Torre ed Arturo invece, volevano semplicemente togliersi lo sfizio di provare il brivido di pilotare il miglior stallone a quattro ruote sul mercato, in un improvvisato rally notturno nella campagna della bassa. Solo il brivido di sfrecciare a più di 100 chilometri all’ora per le stradine sterrate vicine all’argine del fiume, li scuoteva e li eccitava come bambini davanti ad un flipper. In tutto un’oretta di vero svago adrenalinico, niente di più.

“Ehi tu! Che cazzo stai facendo?” disse il Torre indicando il Pizza che, accovacciato accanto alla macchina, con un cacciavite in mano stava cercando di forzare la serratura del lato passeggero.
Il Pizza, temendo di essere stato beccato in flagrante dal proprietario, irrigidì i muscoli del corpo e con uno scatto violento si sollevò.
“Ehi capo, dov’è il problema? Non sto facendo nulla di male. È che nel pisciare ho perso le chiavi della mia macchina e le sto cercando!”, fu quanto in quattro e quattr’otto riuscì ad arrabattare il Pizza con una prontezza di parola tale da dissimulare il suo reale stato d’agitazione. Dentro di se il cuore pulsava talmente forte che lo sentiva spingergli il sangue sino in bocca. Improvvisamente sentì il bisogno di respirare più ossigeno e la respirazione si fece più profonda ed affannata. Il petto si gonfiava sotto la maglia e subito dopo si svuotava facendo vibrare le narici come fossero le froge di un cavallo affannato. Cercò di placare il tremore che nel frattempo aveva cominciato a manifestarsi impadronendosi dei suoi arti superiori. Una leggera forma temporanea di Parkinson che avrebbe potuto compromettere la sua fermezza.
“Sarà meglio per te!” continuò il Torre minaccioso distogliendo l'attenzione del Pizza dal tremore.
“Perchè questa macchina l’ho vista prima io e se non vuoi finire nel tuo pisco a cercare oltre alle chiavi anche i tuoi denti, farai meglio ad andare a scegliertene un’altra. Capito?”. Il Torre era in gamba sotto tutti gli aspetti, peccava solo in quanto a sufficienza e modestia. Questo non gli facilitò di certo in nessun caso la vita, soprattutto quando si trovò di fronte un suo clone.
Una volta capito che quell’essere enorme che il Pizza si trovava davanti altro non era che un suo concorrente, un ladro d’auto proprio come lui, il sangue cominciò a rallentare ed il tremore si placò lasciando un velo di gelido sudore sulla fronte e nell'incavo della spina dorsale. Riacquistò velocemente sicurezza e fermezza. Un senso di rilassamento lo pervase da capo a piedi e, con sangue freddo, serrando bene la mano attorno al manico del cacciavite appiattito lungo la coscia destra, gli annunciò “mi spiace per te amico! Ma questa l’ho vista prima io! Quindi chi deve levare i tacchi sei proprio tu! Guarda” aggiunse indicando con la mano sinistra, in un movimento a ventaglio da destra a sinistra, l’intera ampiezza del parcheggio “ne hai quante ne vuoi, qui, di macchine”.
L’affronto non fu gradito dal Torre. Nessuno poteva rivolgersi al Torre in quel modo. Il Torre possedeva uno dei ganci più potenti della provincia e forse dell’intera regione. Dopo anni ed anni di scazzottate, ormai non gli serviva nemmeno più dimostrare la sua superiorità fisica sugli altri. Si era già conquistato il rispetto ed ora tutti lo conoscevano evitando accuratamente di provare la forza del suo destro. Le dita del Torre automaticamente, senza alcuna volontà, presero ad accartocciarsi come canne mosse dal vento. Chiunque lo conoscesse un minimo sapeva leggere in quella mossa un preludio di polvere, sangue e denti rotti. “E questo coglione chiccazzo è per rivolgersi a me in questo modo?”, chiese al suo cervello. Ricordandosi del supporto che la chiave inglese infilata nella cintola dei pantaloni poteva offrirgli in caso di pericolo, il Torre, convinto comunque che non ne avrebbe avuto bisogno, si diresse lentamente, mettendo un oasso davanti all'altro, verso quel ladruncolo irriverente del cazzo. Fisicamente il Torre non si lasciò intimorire dalla stazza di quel cazzone, peraltro inferiore alla sua. Nonostante il chiarore della luna facesse luccicare qualcosa che avrebbe potuto essere un coltello od un cacciavite, nella mano destra di quel tizio, il Torre continuò ad avanzare fissandolo dritto negli occhi cercando di leggere le sue intenzioni. Come due predatori, si studiavano a vicenda riproponendo le stesse mosse e le stesse espressioni. Sembrava quasi che dei due solo uno fosse quello vero e l'altro niente più di una semplice immagine riflessa da uno specchio.
Arturo, che nel frattempo stava di gardia sul viale che porta alla discoteca attento che non sopraggiungesse nessuno, sentendo quell’attaccabrighe del Torre parlare ad alta voce e con tono abbastanza minaccioso, conoscendo bene il suo carattere, si insospettì.
“E adesso cosa gli è saltato in mente a quel decerebrato?” pensò mentre si incamminava con un buon passo nella direzione dalla quale provenivano le voci.
Quando Arturo arrivò in corrispondenza della Delta HF Integrale Evoluzione, si trovò davanti una scena degna di essere diretta da Sergio Leone in persona.
Un refolo di vento alzava una nuvoletta di polvere dal suolo sterrato del parcheggio, dissolvendola a mezz’altezza nell'aria. La luna, quella notte luminosa, dall’alto, inondava con i suoi raggi decisi e caldi tutto quello le stava sotto, compresi quei due pazzi mitomani e la Delta HF Integrale Evoluzione. In lontananza, i decibel delle casse dalla discoteca, creavano un sottofondo di dance music un pò fuori tema. Qualche uccello notturno, probabilmente un pipistrello o forse una civetta, lanciava fischi minacciosi e funerei che rompevano la monotonia delle note dance diffuse dalla discoteca. Un faro che, lampeggiando minacciava di fulminarsi a breve, lanciava psichedeliche vampate di luce sui due individui. Il Torre aveva a pochi passi, tre o quattro al massimo, dal suo destro il naso di un altro ragazzo che in pugno, di tutta risposta, lambiva minaccioso un cacciavite di almeno 25 centimetri. Se quel cacciavite avesse penetrato la pelle del Torre, molti meno centimetri sarebbero bastati per spedirlo all'altro mondo. L'adrenalina, in quei due corpi stava diminuendo vertiginosamente la loro capacità di valutare i rischi. Arturo, nella sua lungimiranza, capì che, se avesse tardato di qualche secondo il suo intervento, probabilmente qualcuno si sarebbe fatto male ma, certamente, qualcun’altro sarebbe morto. Il suo intervento sembrava richiesto dall’alto, dalla regia o da una voce fuori campo. “Arturo, fai qualcosa al più presto! Prima che quel pazzoide del Torre ceda alla ghiotta tentazione di spappolare il naso e la mascella di quell’incoscente che gli sta davanti”, si impose. Dallo sguardo che Arturo lesse sulla faccia livida del Torre capì che ormai era questione di secondi. Sarebbe bastata una mosca per far scatenare un putiferio e sporcare di rosso la terra del parcheggio impregnandola di sangue.

1 commento:

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