mercoledì 25 luglio 2007

Il colpo di Arturo, Torre e Pizza (parte 4)

Arturo, trovatosi di fronte a quel duello troppo latente per permettersi di pensare ad altre soluzioni, intervenne.
“Ragazzi, cosa sta succedendo qua?” fece con tono paterno e rassicurante da animatore dell’oratorio, con l'intento di non creare allarmismi che avrebbero potuto far degenerare la situazione.
Nessuno dei due duellanti si era accorto dell’intrusione in campo di quello spettatore prima di quelle parole. Con grande stupore per il Pizza e grande rammarico per il Torre, entrambe si voltarono ripettivamente alla propria destra e sinistra in direzione della voce.
Il Pizza, immediatamente, per la seconda volta in dieci minuti, si trovò ad immaginare che quello appena arrivato fosse il vero proprietario della macchina. Dopo qualche secondo di fredda lucidità osservò “no, non può essere il proprietario. Adesso nessuno sta toccando questa cazzo di auto... Ommadonna, vuoi vedere che è uno sbirro in borghese?!”, scongiurò.
Arturo, avvicinandosi lentamente con le mani a mezz'altezza, volutamente ben visibili dal Pizza, si posizionò in un punto formando il terzo vertice di un triangolo isoscele visibile dall'alto. Le loro ombre si allungavano alla sinistra di Arturo per un paio di metri.
“Che cazzo state combinando?” disse poi con tono da maestrino che rimprovera gli alunni.
Il Pizza, frastornato, rimase in silenzio. Non sapeva più a cosa pensare.
”Se questo non è il proprietario e nemmeno un poliziotto... allora chi è sto qua?” continuava a ripensare tra se senza trovare il bandolo della matassa.
“Questo voleva rubare la Delta!”, spiegò con tono colpevole il Torre. “Gli ho detto che è nostra! Ma la vuole lui”.
Seguirono alcuni istanti di silenzio in cui gli occhi di tutti e tre si incrociarono e si lanciarono occhiate incriminatorie.
Finalmente nella mente del Pizza la situazione cominciò a prendere logicità “se non è il proprietario e nemmeno un piedipiatti od un missionario, sta a vedere che questo faceva il palo allo stupido!”.
Il Pizza capì.
Arturo, con fare ora forense, passeggiando in asse, due passi a destra e due a sinistra, esordì arringando “ascolta, mi sembra di avere capito che a tutti noi interessi questo bolide...”.
I due annuirono silenziosamente seguendo i segmenti tracciati da Arturo.
“... Ora ti faccio una proposta! Noi volevamo la Delta solo fare una sgroppata col culo schiacciato su questa mandria imbizzarita e basta. Non ce ne facciamo un cazzo di una macchina che tra meno di 4 ore diventa incandescente come il sole...”.

Arturo ha sempre avuto la capacità di pararsi il culo in qualunque situazione. Questo dono gli ha permesso di arrivare a quarant’anni con poche denunce non penali alle spalle. Quando Arturo spiegava qualcosa nel 99% dei casi riusciva strappare consensi e conversioni. Avrebbe sicuramente avuto successo come commerciale se solo avesse intrapreso quella strada anzichè perdersi nel dedalo del crimine.

“... Se tu vuoi questa macchina, non c’è problema. Non abbiamo niente in contrario, anzi. Ce la lasci qualche ora, il tempo necessario per provare un pò di brividi, poi te la prendi, la porti dove ti pare e non ti fai più vedere!”, Arturo concluse mimando con le mani la fine.
Il Torre, con il suo faccione illuminato dalla luna e striato ad intervalli irregolari dal lampione moribondo, lasciava trasparire soddisfazione ed ammirazione nei confronti di Arturo. Il Torre era la corazza ed Arturo la ragione. Insieme erano una macchina da guerra oliata pronta a qualunque evenienza. Erano un carroarmato ben pilotato.
Il Pizza, esterefatto dal tipo di proposta, finse di pensarci qualche istante non lasciando trapelare alcuna emozione. In cuor suo, si sentiva soddisfatto ma non voleva dare subito la soddisfazione a quel tizio di accettare la proposta. “Nemmeno il rischio di perdere un dente od un occhio”.
Passarono alcuni secondi, poi, con un cenno verticale del viso accettò "ochei, ci sto!".

In pochi minuti, i tre avevano già aperto la macchina e, col motore acceso si erano presentati ed accordati sul da fare in seguito. Con qualche risata e pacca sulle spalle uscirono dal parcheggio a bordo della Delta HF Integrale Evoluzione pronti per correre un rally notturno. Poi, avrebbero consegnato l’auto nelle mani del Pizza.
Arturo al volante, il Torre al suo fianco lato passeggero ed il Pizza dietro si avviarono senza fretta verso la vicina campagna.
Imboccarono la prima strada bassa poco fuori città, quella che costeggiava il fiume.
Arturo fermò la macchina all'imbocco, dove finiva l'asfalto e cominciava lo sterrato. “Allora siamo d’accordo! Io faccio la prima mezz’ora, poi tocca a te” disse indicando il Torre, “e poi, se vuoi provi tu; altrimenti ci riporti in città e vai dove vuoi con la Delta!”. Erano tutti d’accordo e si strinsero le mani come impegno solenne.
Si allacciarono le cinture di sicurezza, Arturo regolò meglio il sedile alla sua stazza, accese tutti fari in dotazione al bolide e, in folle, cominciò a far salire di giri il motore.
WROOM. WWRROOOMM. WWWRRROOOOOOMMM.
Facendo tre volte pressione, sempre un pò più forte, sull’acceleratore si sentì il motore rispondere scuotendo nervosamente l’abitacolo come la centrifuga di una lavatrice. La terza volta che premette l’acceleratore, la lancetta del contagiri sfiorò i 5000 giri al minuti.
Pieno di adrenalina, Arturo era pronto a lasciare la frizione per dare inizio al rally. Ingranò la prima marcia. Lanciò un'occhiata d'intesa ai due e mollò la frizione di colpo. Si sentirono le quattro ruote motrici slittare all’unisono sulla ghiaietta fina della strada. Il motore salì velocemente di giri mentre l’auto si trovava ancora pressochè ferma nello stesso punto. Proprio come in un cortone animato, prima di muoversi passò qualche frazione di secondo interminabile in cui gli pneumatici cercavano disperatamente di fare presa su qualcosa. Quando tutti i più di 200 cavalli si sprigionarono scaricando tutta la loro forza sulla terra, l’impressione che provarono i tre a borbo fu simile a quella del decollo di un aereo. I corpi dei tre ragazzi furono schiacciati a forza contro gli schienali profondi ed ergonomici della Delta HF Integrale Evoluzione. I sassi impazziti, sparati a velocità incredibile dagli pneumatici, rimbalzavano sulla carrozzeria provocando rumori metallici fitti e secchi simili ai chicchi di grandine. Nell'abitacolo il rombo del motore montava sempre più dando l'impressione di averlo sotto il sedile. Arturo inserì rapidamente la seconda mentre il bolide inghiottiva già decine di metri alla volta e, solo per pura ingordigia, provò anche la terza. Il volante sotto la presa serrata di Arturo cercava di divincolarsi e disarcionargli le mani. Il grip che ricopriva il volante asciugava il sudore che l’agitazione di Arturo faceva sgorgare dai suoi palmi. Le vibrazioni aumentavano proporzionatamente alla velocità. Il rettilineo davanti a loro sembrava accorciarsi alla velocità della luce. Il manto sconnesso della stradina sommato alla reazione delle pronte sospensioni Mc Pherson, faceva sussultare l’abitacolo, mettendo qualche centimetro di vuoto tra il sedile ed il culo dei tre ragazzi, ogni qualvolta prendevano una buca. Quando le ruote si trovavano a girare a vuoto, il motore suggiva salendo di giri ed una volta riatterrati imprimeva una nuova accelerazione all'auto.

“Garda quanto facciamo, veloce, guarda a quanto siamo che devo mollare!” ordinò Arturo al Torre.
“Centoventi, centoventicinque, centotrenta, cazzo ma questa vola!” disse il Torre con una soddisfazione ingenuamente infantile.
Artuto non conosceva quella strada. Non la aveva mai percorsa. Sapeva però che il fiume in quella zona disegnava una abbondante S. Sapeva anche che quella su cui stavano correndo il loro rally era la strada dell’argine del fiume. Prima o poi si sarebbe aspettato la curva.
Al limitare della zona illuminata dalle due file sovrapposte di fari scorse, finalmente, l'attesa curva sulla destra. L’entità della curva gli era sconosciuta quanto la presa delle gomme in frenata sulla superficie scivolosa della ghiaia. Avrebbe potuto trattarsi di una curva di 100 gradi come di una di soli 40. Lo avrebbero scoperto nell'arco di pochi secondi.
Arturo impugnò la leva del cambio lasciando sul volante l’impronta di sudore della sua mano sinistra. Nessuno la notò. Mollò il pedale dell’acceleratore e con un rapido spostamento dei piedi, scalò in seconda imballando un pò il motore.
Con in corpo la sicurezza e l’esperienza di Miki Biasion fece una leggera pressione sul pedale centrale del freno cercando di non bloccare completamente le ruote. Il motore, appena Arturo rilasciò la frizione, ruggì come un leone facendo godere delle sue vibrazioni i tre ragazzi a bordo. Stavano provando un’esperienza che pochi ragazzi all’epoca avevano il privilegio di sperimentare.
Al giorno d’oggi basterebbe andare in un qualunque parco di divertimenti per provare sensazioni molto più estreme, paragonabili al decollo di uno Shuttle od alla decelerazione di una Formula Uno. Loro non lo avrebbero mai potuto immaginare e continuarono a godersi quel momento.
Man mano che i fari inghiottivano la strada, Arturo sentì montargli dentro un senso di impotenza che, più il bolide bruciava metri, più aumentava in lui. Quando la strada fu tutta illuminata, la gioia che fino a quel momento aveva pervaso gli animi di quei tre giovani e si poteva respirare dispersa nell’abitacolo, in un baleno scomparve lasciando spazio alla preoccupazione. La curva che dovevano affrontare era in realtà un gomito a meno di 90 gradi. Arturo dalla delicatezza con cui fino ad allora aveva accarezzato il pedale del freno, sgranando gli occhi, passò ad esercitare tutta la forza che aveva in corpo per cercare di fermare la corsa di quel cazzo di razzo a quattro ruote. Il Torre ed il Pizza, con la bocca spalancata non riuscirono ad emettere alcun grido, bloccati, non tanto dal senso del pudore quanto piuttosto dalla repentinità della situazione. Il terrore si era impossessato delle loro facce e, dentro di ognuno di loro, c’era spazio solo per la speranza.
La Delta HF Integrale, ad una velocità almeno tripla a quella massima consentita per affrontare una tale curva, slittò sulla ghiaietta scartando lateralmente come fosse un copertone di camion sul giaccio. Tutti e tre si appiattirono istintivamente al sedile cercando con le mani appigli che non trovavano. Lo stesso Arturo aveva mollato l’inutile volante puntellandosi con entrambe le mani al tetto dell’abitacolo.
La Lancia Delta HF Integrale impazzita e fuori da ogni controllo umano, carambolò prima in un campo e, senza ribaltarsi, urtò di striscio un pioppo centenario con la fiancata destra e finì la pazza corsa con un salto nel vuoto di almeno due o tre metri. La Delta HF Integrale Evoluzione atterrò, sulle ruote, in uno stagno quasi aciutto utilizzato per l’rrigazione.
Il colpo al momento dell’atterraggio fu secco e laterale seguito da un boato sordo. I fari, ancora accesi, illuminavano qualcosa di marrone indefinibile davanti a loro. Il vetro anteriore, crepato in diversi punti, era rigato da spruzzi di acqua melmosa verdognola. Nell’abitacolo cominciò ad entrare del fumo bianco e denso dai bocchettoni dell’aria. Avvolti da un’odore di zolfo misto plastica bruciata, i tre si ricomposero sui sedili. Si squadrarono senza dirsi nulla e in un baleno, slacciate le cinture di sicurezza, cercarono di aprire le portiere. Quelle di destra, ovvero la fiancata che aveva impattato il pioppo, erano bloccate. Appena Arturo aprì a fatica la sua, nell’abitacolo entrarono trenta centimetri di acqua putrida e puzzolente da far venire il volta stomaco. Non avevano tempo per schifarsi dell'acqua. Uscirono dall’abitacolo e, in un metro di fango e melma, si trascinarono sul bordo dello stagno mentre dall’abitacolo continuava a fuoriuscire del fumo denso e bianco che contrastava con il buio scuro della notte. Tutti e tre in fila, seduti con le gambe a penzoloni sul bordo dello stagno. Restarono in religioso silenzio una decina di minuti ad osservare la Lancia Delta HF Integrale fumare con i fanali ancora accesi, mezza sprofondata nella fanghiglia dello stagno.
Poi Arturo ruppe il silenzio “ma quanto cazzo corre quella macchina... dovrebbero vietarla!”.
Una risata collettiva e catartica segnò la fine della tragedia scrollando di dosso la paura dai giovani e consacrando quella cazzata ad essere raccontata come aneddoto divertente agli amici ed alle ragazze.

1 commento:

Anonimo ha detto...

quello che stavo cercando, grazie