mercoledì 25 luglio 2007

Il colpo di Arturo, Torre e Pizza (parte 2)

Il Pizza avrebbe dovuto procurare la macchina ariete, “solida e robusta”. Avevano deciso che sarebbe dovuta essere “una di quelle con la carrozzeria tosta ed il motre di un trattore, tipo una Mercedes 200 degli anni ’90, una di quelle che anche se te la rubano non ti cambia la vita”, aveva detto il Torre. Con quelle parole il Torre non cercava un'attenuante al furto cui addurre una volta giunto al cospetto del Signore quanto piuttosto un vantaggio in termini di tempo. La denuncia avrebbe, probabilmente, tardato ad arrivare alla polizia giusto quella manciata di minuti che si sarebbero rivelati preziosissimi nell'economia del colpo.

Arturo aveva conosciuto il Torre ai tempi del primo riformatorio. Il loro primo incontro rimase scolpito nella memoria di Arturo come la data del suo compleanno. Il Torre finì dentro per aver taccheggiato, per diverse settimane consecutive, lo stesso minimarket del suo quartiere. Aveva cominciato rubando poca roba, due o tre confezioni di caramelle. Poi man mano che il gioco si faceva troppo semplice, alla necessità delle caramelle si sostituì quella di sfidare la sorte. Il primo motivo che lo mosse ai successivi furti fu il bisogno di appagamento che solo una scarica intensa di adrenalina sapeva regalare. L'azzardo del mettersi in competizione con la sorte. La sfida lanciata al destino lo faceva sentire grande, potente donandogli l'inpagabile sensazione di superiorità rispetto agli altri esseri umani. Dunque cominciò a sgraffignare anche oggetti dei quali, una volta fuori dal market, smaltita l'eccitazione e placato il brivido per aver violato un comandamento con la sua sola abilità, se ne sbarazzava gettandola nella spazzatura o regalandola ai suoi amici. Penne, quaderni, confezioni di caffè in chicchi, fazzoletti di carta ed altre futilità erano le preferite dal Torre. In preda al bisogno di osare sempre un pò più della volta precedente, un giorno, mentre il commesso era distratto ad asciugare l’olio di una bottiglia rotta, il Torre si avvicinò al registratore di cassa lasciato incostudito. Come prima cosa cercò invano di aprire il cassetto schiacciando a caso alcuni pulsanti della tastiera. Il cassetto non si aprì ma in compenso il registratore si mise a fischiare fastidiosamente. Allora il commesso, richiamato dal sibilo proveniente dalla sua postazione di cassa, voltò lo sguardo e vide il Torre che armeggiava attorno alla macchina. I loro sguardi si incrociarono. Il Torre vide lo stupore e la preoccupazione per quanto stava accadendo riflessa negli occhi del commesso. Il commesso invece si scontrò con uno sguardo felino che diffondeva un senso di sfida e consapevolezza della propria superiorità. Il Torre in un attimo, inpotente di fronte alla combinazione per aprire il cassetto delle banconote, prese l’intero registratore sotto braccio e si lanciò in uno scatto verso l’uscita. La fuga fu breve. Il filo di alimentazione del registratore non era più lungo di un metro e mezzo, ovvero, quei 2 o 3 secondi in cui il Torre credette di farcela. Quando il filo si tese al massimo della sua estenzione, il Torre, lanciato in corsa, d’un tratto avvertì uno strappo in tutto il suo fianco sinistro del corpo seguito da un immediato dolore lancinante. Il registratore ed il Torre si ritrovarono entrambe stesi sul pavimento in linoleum uno di fianco all'altro.

Il Torre era orfano di padre e, quella che avrebbe dovuto avere come madre, era in realtà solo 12 anni più vecchia di lui. Appena nato, sua madre decise di affidarlo alle cure dell’Istituto Antoniano Rogazionisti, dove crebbe rigoglioso ed ebbe modo di prepararsi al riformatorio. Il Torre, al secolo Anselmo, era il classico esempio di ragazzo “difficile”. Alla ragione ed alle discussioni, supportato da una natura clemente che a 13 anni lo dotò di 1 metro e 80 di statura, preferiva la violenza e spesso la prepotenza. Gli piaceva essere rispettato ed onorato da tutti i suoi compagni di sventura e ci riusciva a suon di scazzottate.

Il Torre, era incaricato di trovare il mezzo adatto alla fuga. Una macchina veloce, resistente e che non desse troppo nell’occhio. “Ci serve una BMW X5, una di quelle che nemmeno dio in mezzo alla strada riuscirebbe a fermare”, sentenziò il Pizza, “oppure una piccola scheggia del tipo Golf GT”, concluse.
“Senti, ma se tu sei così bravo ed hai le idee così chiare perchè non ci vai tu a rubarne una”, disse il Torre indicando con un indice inquisitoriamente teso il Pizza.
“Perchè? cosa credi? che rubare un carrettone di vent’anni sia più semplice? Torre, beato tu che non capisci proprio un cazzo...” ruggì con fare denigratorio.
Il Torre non lo lasciò nemmeno finire la frase che, con un tono della voce minaccioso come il cielo di autunno, coprì la voce del Pizza con “sai cosa ti dico! Che mi hai rotto le palle! e che se sei tanto bravo, fallo da solo il colpo e vaffanculo!”. L’ultima parte il Torre la ringhiò nervosamente in faccia al Pizza condendola con piccole goccie di saliva che nella foga andarono ad imperlare il tavolo della cucina di Arturo.
Il clima si stava scaldando troppo e, se è vero che due stupidi non ne fanno uno intelligente, Arturo si premurò di mettere fine alla diatriba con il suo potere carismatico. “Ehi ehi, ragazzi. Che cazzo vi succede. Tutti siamo nervosi, ochei, ma litigare per delle stronzate come queste è l’ultima cosa che ci serve. Ora mettiamoci tranquilli ed ognuno di noi faccia quello che sa di dover fare senza interferire con gli affari degli altri. Sono stato abbastanza chiaro?” domando retoricamente.

Mancavano due giorni al colpo e da quel momento Arturo aveva deciso “da ora al momento del colpo, nessuno di noi e per nessun motivo al mondo deve comunicare con gli altri. Intesi? Da adesso si comincia a giocare... quindi basta cazzate!"

Il Pizza non era cresciuto in orfanotrofio e non era mai entrato in riformatorio pur essendo orfano dei genitori e delinquente fin dalla nascita. La condizionale l’aveva sprecata di recente a causa di troppo leggerezze in piccole cose, ed ora, con gli altri, era alla ricerca del posto che gli spettava in società ma che, fino a quel momento, gli era sempre stato negato. Il Pizza, sino ai 16 anni di età, era cresciuto con la “sorella della madre” fervente cattolica, che però non ha mai chiamato zia, dopodichè, una mattina prese armi e bagagli e senza salutare o dir nulla a nessuno, cercò la sua strada. Se l’era sempre cavata in qualche modo. Spesso la fortuna lo aveva tenuto stretto accanto a se. Di espedienti ne conosceva in abbondanza. Sosteneva di essere un “self made man” nel senso che Si era fatto uomo da solo, senza aiuto e senza aver mai avuto qualcuno che gli tendesse una mano. Era molto orgoglioso della sua vita trascorsa e non accettava osservazioni o consigli da nessuno. Anzi, lo facevano prorio incazzare, “non ho mai avuto una madre che mi dicesse quello che dovevo fare e questo stronzo cosa fa? Vuol cominciare adesso senza essere nemmeno lontanamente simile a mia madre...”, era quello che vomitava addosso, rabbioso come un cane randagio, a chiunque ci provasse.

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