giovedì 8 marzo 2007

la suonata alla luna

La guardai negli occhi dopo averle accarezzato il seno con lo sguardo. Il petto le si gonfiava e, ritmicamente, subito dopo, si svuotava. Il suo profumo dolce mi toglieva il fiato.
Voleva spiegazioni. Come se io non avessi già abbastanza di me stesso cui dare spiegazioni.
La testa mi duoleva ancora. La notte era stata breve ed intensa, sempre con un filo di luce soffusa a disegnare le forme dei nostri corpi sulle pareti. Nella’aria si diffondevano le tristi note di tromba che continuavano ininterrottamente senza che nessuno di noi si fosse accorto di quando fossero iniziate. Il disordine regnava su ogni cosa rendendo il tutto molto più vero di quanto in realtà potesse sembrarci. Sul comodino, avanzi scomposti di una cena da asporto conferivano alla situazione quella fugacità che prima era nascosta solo all’interno della nostre menti. L’incontro degli sguardi di due persone è uno dei soggetti più ritratti in pittura. Con i colori tenui e caldi della stanza, quella sera si era compiuta la più grande opera d’arte al mondo che nessun pittore sarebbe più stato in grado di ricreare. Seduti sul letto, in posizione che in altre circostanze sarebbe da meditazione, uno di fronte all’altro respiravamo il profumo delle nostre parole.
“Cosa è successo? Perchè?” suonarono come dolci note le sue parole nella mia testa.
Il silenzio si impossessò delle nostre menti come la luna della notte. Quella sera nessuno si incaricò di controllare la luna. Nessuno di noi due sapeva se oltre le persiane chiuse e scrostate della finestra ci fosse la pioggia od il sereno, se per strada qualcuno stesse camminando sul marciapiede od attraversando sulle strisce pedonali. Nessun rumore esterno si affacciò, per tutta la notte, alla nostra vita in stallo; solo quel sottile suono di tromba, ormai naturalizzato, faceva parte di noi. Faceva parte della situazione con la stessa importanza che in quel momento aveva lo specchio alla parete od il tappeto sotto la sedia oppure la bottiglia rovesciata accanto al letto. Tutto quello che ci circondava riempiendo la nostra vita, in quel preciso istante, apparteneva, come il sette di quadri od il fante di fiori, al fragile castello di carte che, delicatamente e pazientemente, avevamo man mano costruito nel corso di quella notte. Se qualcuno avesse voluto, inspiegabilmente, raccogliere i nostri vestiti dal freddo pavimento oppure spostare, seppur di poco, la sedia dal muro, ecco che tutto sarebbe scomparso. Tutto quello che stavamo vivendo sarebbe svanito in un baleno come il sogno interrotto dal suono della sveglia o dal cinguettare degli uccelli in una mattina di aprile. Tutto si sarebbe consumato alla stessa velocità di una meteora o di un battito di ciglia lasciandosi alle spalle, nel migliore dei casi, un vago fumoso ricordo frantumato in statici fotogrammi.
“Mi puoi dire solo il perchè?” furono le altre parole che vellutatamente fuoriuscirono dalla sua bocca e delicatamente si sovrapposero alle note della triste suonata ininterrotta. Dopodichè ancora una armonica ed inverosimile staticità ricominciò a cullare le nostre anime.
I nostri corpi, ancora nudi, godevano del calore accumulato nei lunghi momenti trascorsi, permettendo di mantenerci immobili l’uno di fronte all’altra.
Nella stanza risuonò il mio respiro che, fattosi più greve, creò la circostanza per le mie poche parole “perchè sprecare questo momento?”.
E nella stanza tutto tornò come prima. Le tristi note della tromba si rimpossessarono del silenzio. Il disordine regnava ancora indiscusso su ogni cosa appartenente alla stanza. Noi due ancora immobili e silenziosi sul letto. Dai suoi occhi, due diamanti luccicarono scendendo sino alle labbra senza che il viso le si scomponesse. L’unico moto che potesse mantenere integra l’armonia all’interno di quella stanza si era appena consumato senza nemmeno sapere se fuori la luna fosse affacciata sulla città.

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