venerdì 30 marzo 2007

Rispetto

«Mi hanno chiamato folle; ma non è ancora chiaro se la follia sia o meno il grado più elevato dell'intelletto, se la maggior parte di ciò che è glorioso, se tutto ciò che è profondo non nasca da una malattia della mente, da stati di esaltazione della mente a spese dell'intelletto in generale»
(E. A. Poe)


Nel palazzo di fronte al mio abita uno spacciatore.
Nessuno me lo ha mai detto, ma io lo so.
Dalla finestra della mia cucina entro in piccole parti della sua bieca vita quotidiana.

Non lavoro da due mesi. Ho perso un bell’impiego in una società di ****** ufficialmente per incompatibilità con l’ambiente di lavoro mentre in realtà per il rapporto con i colleghi. Erano troppo ossessivi e la loro vita gravitava intorno al lavoro; loro vivono per lavorare. Per otto ore al giorno avevo sempre qualcuno alle spalle che spiava quello che stavo facendo, sempre. Sono arrivati persino a controllarmi le chiamate. Non ne ho la certezza ma ne sono convinto. Infatti, un giorno, tornando prima dalla pausa pranzo, ho sorpreso il mio collega responsabile informatico vicino al mio telefono nel mio ufficio. Sono certo che stesse controllando i numeri chiamati nella mattinata. Fatto stà che appena mi ha visto alle sue spalle, ha cominciato a parlare di lavoro come fosse in linea con qualcuno. Ha finito salutando e ringraziando quel fantomatico interlocutore dopodichè si è voltato e mi ha farfugliato, fingendosi sorpreso di vedermi “oh, ciao Franco, scusa se ho usato il tuo telefono ma il mio non funziona oggi... ho avvertito il tecnico ma, sai quanto ci mettono quelli...!” e poi se ne è andato. Sono resistito tre mesi in quella situazione di “sorvegliato”, ma alla fine sono sbottato e mi sono dovuto licenziare.

Essendo in casa più di dieci ore al giorno, ho modo di vedere quello che succede intorno a casa mia. Da un mese circa ho la certezza che lo sguardo che spesso incrocio dalla finestra del palazzo di fronte appartenga ad uno spacciatore. Un lurido sporco figlio di puttana. I nostri occhi non si incrociano, si scontrano proprio, fissandosi per un breve tempo sino a che uno dei due è costretto a cedere alla forza dell’altro ed entrambe ricominciamo a fare quello che avevamo interrotto. Lui sa che io so della sua losca miserrima attività e per questo mi odia.

Fino a cinque mesi fa stavo con una ragazza, Carla. Mi ha lasciato perchè non mi fidavo più di lei. Siamo stati fidanzati per quattro anni, poi, tutto d’un tratto lei ha cominciato a controllare la mia vita. Quando mi assentavo da casa per recarmi al lavoro od anche solo per andare a fare la spesa, al mio ritorno mi accorgevo di alcuni cambiamenti, anche solo millimetrici, ma molto eloquenti. Premetto di essere una persona estremamente precisa e per questo ho sviluppato un incredibile senso della posizione e dell’ordine nello spazio. Per farvi un esempio, io saprei dire se, durante la mia assenza da casa o dal lavoro, qualcuno si sia intromesso nelle mie cose anche solo per qualche istante perchè, la disposizione degli oggetti dopo il passaggio di qualcuno è irrimediabilmente compromessa. Una matita fuori posto, un foglio spostato, il tappeto leggermente arricciato piuttosto che un cassetto del comodino non ermeticamente chiuso, sono per me tracce inconfutabili del passaggio di qualcuno. Quando, quindi, rincasavo, non potevo non notare che tra i miei effetti personali (dei quali sono estremamente geloso), qualcosa era variato. Cerco di spiegarmi meglio. A tutti sarà capitato almeno una volta di frugare, vuoi per curiosità piuttosto che per necessità, tra le cose altrui. Bene, quando mettiamo mano tra oggetti o comunque entriamo in un ambiente che non ci appartiene, utilizziamo come metro di paragone con l’ordine circostante unicamente il nostro senso dello spazio. Ovvero, se secondo noi un cassetto della scrivania è ordinato quando è chiuso sino in fondo, oppure le penne sulla scrivania sono allineate per colore piuttosto che per dimensione, quando entriamo in un ambiente nuovo e ci mettiamo mano, al momento di dover cancellare le tracce del nostro passaggio, ci premureremo di risistemare ogni oggetto seguendo i nostri personali schemi di ordine, spesso ignorando il loro stato precedente alla nostra incursione. Risultato: crediamo di aver risistemato tutto come era in precedenza mentre sicuramente qualcosa ha variato la sua posizione. Quindi avrete ben capito che quando tornavo a casa, alle volte anche un pò stanco e stressato dopo una pesante giornata di lavoro, mi trovavo dinnanzi all’inconfutabile prova dell’avvenuta ingerenza di Carla tra le mie cose personali. Io sono un ragazzo estremamente trasparente e questo non sempre mi ha facilitato la vita anche se, dal canto mio non ho nulla da rimproverarmi. Sforzandomi, le prime volte che mi sono accorto del suo controllo, credo di ricordare che fosse giugno o luglio, ho sempre fatto finta di niente con Carla ed a grandi sorsi mandavo giù quell’amaro senso di omertà che non mi apparteneva. Quando i fatti cominciarono a ripetersi più frequentemente, non sono più resistito e, con l’estrema calma che mi caratterizza, le ho chiesto spiegazioni. Come potevo immaginare, lei dapprima aveva cominciato a negare tutto fingendo di non capire di cosa stessi parlando, poi col tempo, probabilmente sentendosi smascherata, come tutte le donne, cominciò ad attribuire alla faccenda un significato sentimentale con frasi del tipo “ma perchè mai dovrei frugare tra le tue cose?” e poi “ma cos’è, non ti fidi di me... mi conosci da anni, sono la tua ragazza e nonostante questo credi che ti controlli?”, arrivando persino ad uscite del calibro di “no, ma tu sei uscito di senno, sei diverso... stai cambiando...”. Abbiamo sopravvissuto ad una situazione di mutui sospetti per qualche mese, dopodichè, un bel giorno, in seguito ad una bella litigata, al mio rientro a casa trovo appeso alla calamita del frigo solo un biglietto scritto a mano, probabilmente ancora umido per le sue ultime lacrime, che mi annuncia la sua partenza e blàblàblà... Piccola nota che perora la mia causa sta nel fatto che parecchie cosette mie personali (tra le quali un mio diario), da quel giorno sono sparite con lei.

Lui mi odia visceralmente almeno quanto io odio tutte le serpi e di conseguenza lui. Di tutto questo ho avuto la conferma qualche settimana fa, quando, scendendo per andare al lavoro, per la prima volta in sei mesi, lo ho visto entrare di persona nel portone del suo palazzo e, nel richiuderlo, voltandosi di tre quarti sono sicuro mi che mi abbia scorto salire in sella alla mia moto. Qualche giorno dopo il nostro solo sfiorato incontro, una mattina, mi sono trovato lo specchietto destro divelto e gettato sul marciapiede; un evidente segnale intimidatorio di quel bastardo, di quel cancro sociale. Lui se potesse mi ammazzerebbe.

Ultimamente soffro un pò di insonnia e la notte non riuscendo a dormire leggo oppure osservo quella parte di città che come me non dorme. Alle volte, quindi, mi accosto alla finestra per alcune ore, nel buio della notte e con la luce spenta per non farmi vedere, e scruto tutti i movimenti di quel delinquente, l’unico dell’intero palazzo che anche la notte non riposa. Lo vedo girare per casa, da una stanza all’altra, spesso a torso nudo portando in mano qualcosa che purtroppo non si distingue bene nella penombra, oppure lo scruto accendere la luce dell’atrio ed aprire la porta per fare entrare qualcuno in casa, sicuramente qualche povero disgraziato tossicodipendente che lo implorerà di dargli una dose per sopportare lo schifo di questo mondo sempre più ingombrante e zozzo. Oppure lo vedo affacciarsi alla finestra aperta e sporgersi per vedere sotto, il tutto sempre con una sigaretta appesa tra le labbra.

Come se non bastasse, da circa un mese ho dei condomini nuovi al piano superiore. Li ho incontrati solo una volta lungo le scale quando l’ascensore era stato fermato per il collaudo. A vederli, sembrano ragazzi perbene, vestiti puliti e capelli ordinati ma spesso la notte accendono lo stereo oppure fanno partire lavatrice o lavastoviglie senza curarsi dell’esigenza degli altri condomini di godersi il silenzio delle ore notturne. Inoltre, poco tempo fa, uscendo di casa ho sentito quei ragazzi parlare col custode (tipo strano anche quello) di me. Ho origliato un momento, nascosto dietro l’angolo della portineria, carpendo solo pochi frammenti di conversazione “ma il tizio del quarto piano... sempre riservato... esce poco...da quanto vive qui...”. Chiedevano informazioni al portiere sul mio conto!

Non sono nemmeno più libero di fare quello che voglio, di avere una mia sfera privata, un ritaglio di mia intimità che già la gente si insospettisce, drizza le antenne e comincia a fare domande, bisbigliare e spiare. Se non ti omologhi alla spazzatura che ti circonda, diventi tu il diverso, diventi tu il neo. Tutto si sta avviando rapidamente al declino. Non esiste più il rispetto per ninete e per nessuno. Un’etichetta ataccata alle spalle come un pesce d’aprile per tutto l’anno è l’unica cosa che si riesce a ricavare dalla società, dalla gente che ti vive accanto. Serve rispetto. Non abbiamo bisogno di inchini, copnvenevoli o di darci del lei quando ci incontriamo; questo non è rispetto. Rispetto è libertà di vivere.

Questa notte ho capito che la situazione è diventata insostenibile; ha raggiunto ormai il punto di non ritorno. Lo spacciatore ha ancora la luce accesa e dalla finestra lo vedo trafficare in cucina. In tutto il mio palazzo risuonano voci e rumori strani, porte sbattute e passi pesanti.

Sono sceso nelle decadenti tenebre delle vie rigurgitanti di drogati, prostitute, poliziotti conniventi, ladri, derelitti ed assassini. Mi sono sentito osservato da una miriade di occhi nascosti nel buio. Avevo l’impressione di essere attorniato da una strana aura che mi distingueva e mi dava risalto mentre mi aggiravo il più riservatamente possibile per le vie odoranti di piscio e sporco, di malattia e fine. Non ho faticato molto per trovare quello che stavo cercando. I soldi li avevo con me e mi è bastato chiedere ad un paio di tizi, meno loschi di certi che si aggirano per la stazione durante il giorno, per avere tutte le informazioni necessarie per trovare una pistola. Mi sono appartato in una via deserta e stretta a senso unico con uno di questi. Lo schifo che provavo per lui non mi ha concesso nemmeno di guardarlo negli occhi. Le sue parole alle mie orecchie risuonavano come filtrate dall’altoparlante di un megafono ed incredibilmente metalliche. Mi ha estratto un’automatica con la canna corta e scura con la disinvoltura di un crupier che distribuisce le carte. Mi ha chiesto per cosa mi servisse, ma credo sia una domanda di routine che per abitudine sono portati a fare senza prestare troppo interesse alla risposta, un pò come fanno i commercianti chiedendo “come va oggi signore?”. Per questo non gli ho risposto. Lui ha ottenuto quello che voleva ed io ho avuto quello che cercavo. Pistola e caricatore traboccante di piombo.

La testa mi sta scoppiando nel silenzio della città in cui nemmeno le civette cantano. Un cerchio alle tempie preme con insistenza e provo la sensazione che la mia testa abbia la stessa consistenza del corpo di un totano. Mi pulsano gli occhi al ritmo del sangue. A passi veloci mi sposto con la sicurezza di chi sa dove andare. So da dove cominciare. Sono le tre e mezza, la città sembra essersi ormai addormentata ma io, sotto la luce gialla delle lune artificiali, so che qualcuno è ancora sveglio.

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