giovedì 3 maggio 2007

alieni

La scena si apre entrando in un pub dove, nonostante spessi vetri colorati, il sole filtra rifratto e rende surreale il fluttuare di microparticelle nell'aria. Subito sopra la birra e al braccio nel maglione blu che la regge si avviluppano inconsistenti molecole in linee di luce. Giulio siede di schiena aggrappato alla sua pinta necessariamente mezza vuota. Guarda il sottobicchiere distorto dal culo del bicchiere e bagnato di condensa. Qualcuno ciancia poco lontano con la mano destra infilata in una busta da 25 grammi di patatine aromatizzate al pomodoro. Ketchup.
Il nostro protagonista, Michele, è nel bagno localizzato dopo il bancone, in direzione opposta alla pesante porta di ingresso. A destra. Lo troviamo in piedi di spalle davanti alla tazza bianca e disegnata. Qualche adesivo alla parete ad indicare qualche nuova moda, un band inequivocabilmente indie rock. Ed ovviamente un sito internet. A quell'ora di poco successiva alle quattro l'odore tra quelle strette pareti piastrellate è neutro come dentro una busta nuova della spesa Coop. Si sente solo lo schioccare del piscio. Poetico come un assorbente galleggiante in un mare limpido, caraibico. Liberatorio come l'indulto.
Fuori, dentro il pub, pochi cambiamenti. Negli schermi accesi una cantante sculettante si è sostituita ad una ammiccante, una mano si è avvicendata alla precedente nel recupero delle ultime croccanti patatine. Il vociare prosegue su argomenti seri come lo può essere l'acqua gassata. Diversamente dall'effervescente naturale l'umorismo è calcolato solo per sopperire a buchi di attenzione introdotti dal crocchiare delle patatine tra i denti. E rendere frizzante una conversazione sul marxismo leninista. La birra di Giulio è ancora più vuota e calda. Il sole finto si indebolisce fuori dai vetri verdi, gialli e rossi, venati come le mani dei vecchi per atrofia dei tessuti sottocutanei.
Michele, scorgendosi veloce allo specchio, si sorride di lato senza scoprire i denti. Schiocchia un "thcì!" con la lingua e spinge la porta con l'intero palmo della mano.
Nessuno si aspetta una invasione aliena, nessuno nota l’interruzione dell’attimo che preannuncia la tragedia.

Michele solleva la sua birra e tocca il bicchiere con quello di Giulio. Nuovamente pieno.
“alla tua”
Giulio sorride, da un piccolo sorso inclinando quasi impercettibilmente il bicchiere e riattacca a parlare di quella ragazza senza un braccio.
“è bellissima” dice sognante.
Cristina, questo il suo nome, è una ragazza di 22 anni che spesso passeggia con una qualche insignificante amica lungo Via Zamboni. Ha un fisico esatto come gli esercizi copiati dal libro delle soluzioni e due occhi blu che rimangono impressi. Veste spesso di nero ed ha sempre qualche particolare viola. Con i suoi orecchini, piuttosto di un nastro allacciato in vita a mo di cintura (od una collana di piccole sfere colorate) Cristina arride della concezione teatrale della vita. Non hanno senso per lei tutte le maschere, le logiche dell’appropriatezza, gli aperitivi solo per sfuggire ad una inevitabile noia. Passeggia quasi sospesa, libera. Come un disattento cane può passeggiare per uno zoo safari. Fragile e cosciente di un altro mondo. Spesso con una sigaretta in mano di marchio Pall Mall. Soffiando il fumo spesso incrocia Giulio che rallenta il passo a metà tra l’attratto e l’imbarazzato.
“insomma…come si abborda una che non c’ha un braccio?”
“basta non chiederle: “Scusa, mi dai una mano?””
“stronzo!”
Michele beve un altro sorso. Pensa ad altro ma non sa nemmeno lui dire di che si tratta. Una sensazione, forse la stessa che spinge i topi ad abbandonare per primi la nave danneggiata. Forse il bisogno di una dormita decente, dopo le ultime due sere appoggiato a casa di Giulio girando fronte/retro i boxer, rimediando una maglietta ed usando il dito come spazzolino. Come quando da piccolo rimaneva a dormire a casa di Marco. Usava quel dentifricio alla menta talmente forte che per due minuti il respiro pareva gelarsi in gola.
“…l’ho vista anche oggi” lo richiama alla conversazione Guido “devo assolutamente fare qualcosa che mi viene una faccia troppo da idiota quando la vedo…” e prosegue comico. Come può esserlo un ragazzone alto e robusto appollaiato su di uno sgabello al bancone che parla e parla, incentivato dall’alcool e dal troppo tempo libero. Alla coppia poco dietro che masticavano patatine fritte tra i loro discorsi, si sono sostituiti vari gruppetti multicolori. Sparsi ed estesi nel legno ciliegio del pub come vivaci muffe. Il chiacchiericcio diventa incomprensibile e camuffato da una qualche colonna sonora. Odore di primavera da una camera chiusa. Una ragazza bionda ordina affrettata uno Spritz proprio accanto a Michele. Lui la guarda, lei lo ignora. Poco dietro la attende una sua amica seduta al tavolo da un buon quarto d’ora. Ha finalmente smesso di tormentare il proprio telefono. L’attesa in un pub è necessariamente nervosa. Si passa il tempo leggendo il menù, la composizione e le nere preconizzazioni dei nostri pacchetti di sigarette e si beve tendenzialmente più in fretta. Spesso ci si finge impegnati col proprio cellulare mentre in realtà si scorre annoiati la rubrica.
“ecco a te, …sono 3 euro”
La bionda si allontana con il bicchiere pieno del suo liquido rosso Aperol allungato.
“…mi domando se lei mi abbia mai notato, ti ricordi quella festa dove c’era pure lei?”
Pur ricordandosi nel dettaglio Michele risponde di no. Vuole tagliare la conversazione, portarla su un argomento più intellettualmente costruttivo. Ha voglia di dissentire, discutere per poi sintetizzare nuove basi di ragionamento e sa che, se gli desse corda, Giulio passerebbe un’altra ora a parlare di Cristina. Poi lei stessa, chiamata in causa come una improbabile coincidenza, varca la soglia del pub. La porta si socchiude facendo filtrare quel poco di sole rosso che ancora rimaneva a riscaldare i portici, come fa ad ogni passaggio. Poi si chiude lenta ma senza cigolii. I due tacciono. Lei raggiunge alcuni amici, poco lontano dal bancone. Le portano una bottiglia di Henieken. Giulio si domanda che fare. Michele legge un messaggio sul cellulare; una situazione carica di divenire e lui si ritrova escluso. Il suo più grande desiderio è isolare il mondo continuare a bere, parlare di una poesia di Hugo tornatagli alla mente proprio ora e, infine, dormire. Ma Giulio è troppo teso, non lo seguirebbe in nessun genere di discorso, ordina due birre.
“questo è il mio giro” dice. Forse cercando di farsi sentire da Cristina che sorride mostrando i primi denti bianchi, forse semplicemente ubriaco.

Quando si prende senza cautela un liscio foglio di carta e ci si taglia, si rimane increduli a guardare la falange. C’è l’illusione che il cervello sbagli. Gli occhi diventano grandi e l’espressione più o meno grave. L’olfatto si annulla e l’udito peggiora. La fronte corrucciata nei pochi istanti precedenti il disegnarsi di una mezzaluna rossa. Poi ci si asciuga il dito rilassando la fronte. Sussurrando: “che coglione”. Non facendosi ascoltare dai colleghi. È un momento in cui le leggi naturali non esistono. In cui la carta diventa anche forbice.
Così immagino come possa sentirsi Cristina mentre Giulio le parla e lei aspetta di ordinare un’altra bottiglia di birra al bancone. Ora che le si seccano le parole ed indovina di avere perso uno di quegli istanti in cui, il folle correre parallelo di tutte le vite, si inganna toccandone altre. Incrociandole. Si tocca la cicatrice sotto il gomito sinistro, dove pochi anni prima proseguiva il braccio. Mette Giulio sulla difensiva. Lo imbarazza e non dice niente. Lo guarda cercando la voce, la sua innata vitalità. I dialoghi dei film si avvicendano ma non riesce a coglierne uno da riproporre. Da ricopiare per lo meno. Giulio fissa per un attimo la sua pinta, ne prende un sorso. Michele finge di non far parte della scena benché ne sia il protagonista.
Poi arrivano gli alieni e muoiono tutti. Perché gli alieni sono cattivi.

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